Counseling. Manuale di Istruzione & Formazione. Nota autobiografica e Bibliografia.
Si conclude il presente “Manuale per la Formazione IN Counseling” con una nota autobiografica dell’autore (Domenico Nigro). Segue Bibliografia.
Nota autobiografica.
Sono stato allievo di una scuola di counseling il cui direttore didattico era uno psicoterapeuta (della gestalt) secondo cui l’unica differenza tra il counseling e la psicoterapia era che con quest’ultima si potesse lavorare con pazienti affetti da qualche disturbo psichico/malattia mentale, con il counseling no.
L’unica differenza di formazione che proponeva, quindi, ai suoi allievi della scuola di psicoterapia (che sempre lui dirigeva), rispetto ai suoi allievi counselor, riguardava come lavorare con i “picchiatelli”, questione non trattata con gli allievi counselor. Per il resto era tutto uguale.
Avendo letto/studiato il presente manuale, spero tu abbia compreso che la differenza fondamentale tra il counseling e la psicoterapia consiste nella diversità d’intenzioni, punti di vista e modus operandi del counselor, rispetto allo psicoterapeuta, diversità che si manifesta, in particolare, nel diverso uso della relazione che gli stessi adottano nelle rispettive sessioni di lavoro con i propri clienti/pazienti (a prescindere dalle motivazioni che portano una persona, “picchiatella” o meno, da un counselor o da uno psicoterapeuta).
Come in vario modo presentato in questo manuale, “Il Counseling è la forma d’aiuto professionale praticata da un Counselor, principalmente, in forza di uno specifico e particolare modo di stare con se stesso, in relazione con i propri clienti”.
È il modo di muoversi nella relazione con il proprio cliente, che caratterizza e rende specifico il fare counseling.
Ricordo, come fosse ora, uno degli ultimi confronti avuti con Cirillo Cavallo (nome di fantasia, per indicare il direttore della scuola di counseling, dove mi sono formato), di cui cito un frammento:
- Io: Cirillo, ma non ti sembra che ciò che proponi come modus operandi del counselor non consideri in alcun modo l’importanza della relazione counselor-cliente?
- Lui: in Gestalt ciò che conta è il contatto, a noi interessa quello, non la relazione (immagino si riferisse al contatto, come stato di consapevolezza personale, del counselor e del cliente, e immagino considerasse ostacolanti, per lo stesso contatto, persino il rispetto dei più elementari rituali di coesistenza sociale e delle relazioni che la intessono, senza rendersi conto di quanto questo penalizzasse l’influenza positiva di competenze relazionali quali l’accoglienza, la gentilezza, le buone maniere, ecc., ecc.).
- Io, che NON avevo una laurea in Psicologia, né un background culturale di quel tipo, ma una formazione umanistica, storico-letteraria, intrisa di saperi sociologici e antropologici (certo, anche psicologici);
- Io, che avevo alle spalle più di vent’anni di lavoro nel campo della gestione delle risorse umane e della formazione aziendale (marketing, organizzazione, comunicazione);
- Io, che ero fresco di una formazione di Coaching;
- Io, che oltre a sorbirmi gli insegnamenti di Cirillo Cavallo e dei suoi adepti (quella scuola mi sembrava una setta), mi abbeveravo di saperi e conoscenze anche da altre fonti (ad esempio, ho letto/studiato direttamente i testi dei maestri della Gestalt, non mi sono accontentato di come me ne parlavano a scuola);
- Io, che continuavo a fare esperienza personale di quanto fosse inseparabile la qualità del contatto individuo-ambiente dalla relazione tra gli stessi e di quanto contatto e relazione fossero inestricabilmente, funzionalmente, collegati;
- Io avevo ben chiaro quanto Cirillo Cavallo fosse uno psicoterapeuta, cui faceva comodo avere una scuola di Counseling, per ovvie ragioni di lavoro e di guadagno, così come avevo ben chiaro quanto sul Counseling sapesse poco e quel poco fosse al quanto confuso.
A dirla tutta, io penso (ancora oggi, 11 aprile 2023, mentre sto scrivendo questa nota autobiografica) che siano ben pochi, in Italia, gli psicologi e gli psicoterapeuti che sappiano bene cosa sia il counseling e lo sappiano fare!
D’altronde la loro “mission” è curare le persone che, per loro, quando non sono malate, hanno comunque qualcosa che non va, da aggiustare.
Per noi counselor, quello che non va dei nostri clienti non sono loro, né è in loro stessi; è da ricercarsi in quello che accade a loro e nei modi in cui gli corrispondono, per non subirne gli effetti dolorosi.
Come rispondere agli accadimenti che li fanno stare male, come possono migliorare/superare questo loro stare male, è ciò che apprendono dalle esperienze che fanno con noi.
Degli studi e delle letture che hanno accompagnato e orientato il mio arrivare a comprendere questo stato delle cose, e farmene una ragione, voglio qui presentar una sorta di excursus bio-bibliografico.
Mi sono laureato in lettere moderne, con una tesi (di metodologia della ricerca storica) sulla “soggettività” dei protagonisti della violenza politica in Italia, nel periodo 1968-85.
Tale interesse muoveva dall’idea che la soggettività fosse un campo di analisi utile alla comprensione di ogni rilevante fenomeno storico.
La logica retrostante tale idea può così essere espressa:
- Se la storia riguarda l’intera esistenza umana, le dimensioni che la caratterizzano (sociale, economica, relazionale, culturale, simbolica, ideale, spirituale, affettiva) non possono che essere riflesse nella soggettività dei singoli, che tali dimensioni vivono; indagare questa soggettività, quindi, permette di conoscere, non solo, tali dimensioni, ma come le singole persone, interagendo con tali dimensioni, possono arrivare a determinare gli accadimenti storici.
Non lo sapevo ancora, ma un tale focus (come la singola persona interagisce con le forme e i contenuti della propria esistenza) avrebbe accompagnato la mia vita professionale:
- Sono stato allenatore e dirigente sportivo, prima, consulente e formatore aziendale, dopo.
- Mi sono, sempre, ritrovato in funzioni lavorative che mi richiedevano di intervenire sul comportamento altrui – quindi sugli altrui pensieri, sentimenti ed emozioni – per migliorarne le prestazioni e i risultati.
- Adesso, facendo counseling, ritrovo la soggettività dei miei clienti come sfondo la cui considerazione e valorizzazione é imprescindibile, per fare bene il mio lavoro.
Precisiamo, allora, cosa intendo con il termine soggettività, stralciandone una citazione dal capitolo 8.4 del presente manuale:
<<Con il termine soggettività, consideriamo, di ogni singolo individuo, l’architettura di:
- Motivazioni (bisogni, interessi e desideri personali);
- Status sociale/culturale (modelli educativi, rapporto con gli altri, con il proprio ambiente di nascita e di sviluppo);
- Valori identitari, morali-culturali e pregiudizi;
- Stati d’animo, atteggiamenti mentali e comportamenti;
- Modi di pensare, ideologie e modelli culturali/comportamentali di riferimento.
Il concetto di soggettività cui qui ci riferiamo riguarda allora “la qualità dell’essere, dei singoli, nel loro vivere sociale”, cioè la caratterizzazione che assume, in ogni singolo individuo, l’integrazione dei contenuti della propria vita sociale con i tratti distintivi della propria personalità; chiaramente, nello specifico momento in cui quella soggettività è presa in esame>>.
Tale concetto di soggettività è stato per me, negli anni ’80 del secolo scorso, una categoria di analisi, utilizzata per studiare un fenomeno politico/sociale di rilevanza storica.
Questo stesso concetto di soggettività è adesso (anno 2023), per me, lo sfondo cui non manco mai di rivolgere l’attenzione per comprendere i miei clienti e aiutarmi a stare, e a fare counseling, con loro, adeguatamente.
Rifletto, allora, su come e quanto il mio fare counseling, di adesso, si colleghi alla visione della soggettività umana come chiave d’indagine storiografica, da me stesso usata circa quarant’anni or sono nella mia tesi di laurea, con la quale mi ripromettevo di comprendere il fenomeno della violenza politica di quegli anni, in Italia.
La risposta mi sembra ovvia: la valorizzazione della soggettività umana in chiave d’indagine storiografica, su cui mi sono basato quarant’anni or sono, risponde agli stessi presupposti, fenomenologici/esistenzialistici, che sostengono il mio fare counseling, oggi.
Incontrare il Counseling ha rappresentato, per me, tra le altre cose, la scoperta che a fondamento della visione fenomenologica/esistenzialista/gestaltica della vita umana, risiedono gli stessi principi che avevo incontrato, nel corso dei miei studi storiografici, universitari.
Sintetizzo questi principi, rielaborando quanto Isadore From e Michael Vincent Miller scrivono a conclusione della loro Introduzione al libro di F. Perls – R.F. Hefferline – P. Goodman, “TEORIA E PRATICA della TERAPIA della GESTALT. Vitalità e accrescimento nella personalità umana” (Astrolabio 1997):
- “La storia dell’umanità, come quella di ogni singolo individuo, non può basarsi sulla ripetizione di alcun modello, scientificamente riconosciuto o meno; perché è sempre un risultato delle azioni che l’uomo compie; azioni che non rappresentano un effetto, ma una risposta possibile alle sfide della vita: le risposte dei singoli sono variabili e incerte, quindi, la storia dell’umanità, come quella di ogni singolo individuo, non può che essere assolutamente imprevedibile”.
Il riconoscimento della possibilità, di ciascun individuo, d’incidere sul proprio destino, proprio della visione fenomenologica/esistenzialistica/umanistica del counseling, si ritrova anche, quindi, in un modello d’indagine storiografica, che, ponendo i riflettori sulla soggettività, evidenzia la possibilità di ciascun individuo di incidere non solo nella determinazione del proprio destino, addirittura in quella della storia dell’umanità.
Una tale visione, in ambito storiografico, emerse principalmente dalla storiografia francese degli “Annales d’histoire économique et sociale” [rivista fondata nel 1929, dagli storici Marc Bloch e Lucien Febre, che si avvalsero della collaborazione di brillantissime menti storiografiche, tra le quali spiccavano quelle di Henri Pirenne, Jacques Le Goff, Fernand Braudel].
Dagli anni trenta del secolo scorso, in tutto il mondo occidentale, molti storici cominciarono a integrare, nella propria ricerca, contributi provenienti da tutte le altre scienze sociali (in particolare dalla sociologia, dall’antropologia, dalla filosofia e dalla psicologia).
Questo portò a riconoscere, sempre più, il valore della soggettività umana come parametro di determinazione del divenire storico, sempre più visto come funzione del modo di esistere e stare al mondo dei soggetti, singoli e collettivi, che questo mondo abitano e nello stesso vivono la propria esistenza.
Il fiorire di studi di carattere sociologico/antropologico e psicologico rilevava sempre più:
- quanto l’esistenza umana fosse attraversata da più dimensioni (sociale, economica, relazionale, culturale, simbolica, ideale, spirituale, affettiva),
- il cui intrecciarsi determina un campo di influenza fondamentale per il comportamento umano,
- che agisce differentemente in funzione delle risposte dei singoli,
- che sono varie e differenziate, pur in contesti storici, sociali, geografici, sostanzialmente simili.
Ricordo il fascino particolare, personalmente subito, di alcune letture:
- L. Febre, “Come ricostruire la vita affettiva di un tempo”, in “Storia e Psicologia” Einaudi, Torino, 1976;
- W.I. Thomas e F. Znaniecki, “Il Contadino Polacco in Europa e in America”, Comunità, Milano, 1978 (forse i primi a parlare esplicitamente dell’importanza della soggettività nella comprensione di una realtà sociale e di quanto una soggettività potesse essere meglio analizzata nei momenti cruciali di scelte fondamentali dell’esistenza individuale);
- H. Blumer, “la società come interazione simbolica”, in M. Ciacci (a cura di), “Interazionismo simbolico”, il Mulino, Bologna, 1983;
- Ernesto De martino, “La fine del Mondo” (Einaudi, Torino, 1977), “Naturalismo e storicismo nell’etnologia” (Laterza, Bari, 1941) e “Sud e Magia”, (Milano, Feltrinelli, 1959); autore unico nel saper rappresentare la relazione “necessità storica / accadimenti individuali”, affrancando il divenire storico dall’inconsistenza di quella visione che lo presenta come un “di fuori”, che procede in modo indipendente dagli individui concreti, dalle loro opere e dalle loro idee, dal loro divenire rappresentazioni collettive in grado di orientare l’intera storia dell’umanità;
- Sul rapporto individuo-gruppo come condizione necessaria per la produzione d’idee, immaginazioni e rappresentazioni/interpretazioni della realtà, materiale e spirituale, individuale e collettiva, tra tutte e sopratutte, straordinaria per me è stata la lettura di E. Durkeim, “Le forme elementari della vita religiosa”, Comunità, Milano, 1963;
- E che dire degli antropologi!? Voglio dire che a loro, principalmente, dobbiamo la scoperta di quanto l’ambito soggettivo dell’esistenza non solo raccolga contraddizioni d’ordine generale, ma possa produrre istanze in grado di riflettersi su scala allargata; fra i tanti, insieme a De Martino, gli antropologi che più ho frequentato sono stati B. Malinowski (“Baloma. Gli spiriti dei morti nelle isole Trobriand”, in “Magia, scienza e religione”, Newton Compton, Roma, 1976), Arnold Van Gennep (“I riti di passaggio”, Universale Scientifica Boringhieri, Torino, 1981) e Margaret Mead (“Maschio e Femmina”, il Saggiatore, Milano, 1962).
Ricordo quanto l’attenzione alla “Soggettività” permettesse di rilevare i modi in cui le dimensioni (sociale, economica, relazionale, culturale, simbolica, ideale, spirituale, affettiva) dell’esistenza umana incontrassero l’esperienza individuale, aiutando a comprenderne aspetti specifici quali l’appartenenza di genere sessuale (fondamentale a tal proposito la lettura della Mead, sopra citata) e di ciclo di vita.
Qui le letture più significative, per me sono state:
- J. Keith e D. Kertzer (a cura di) “Age and Anthropological Theory”, Cornell University Press, 1984 (in particolare: C.M. Beall, “Theoretical Dimensions of a focus on Age in Physical Anthropology”);
- i saggi di Karl Mannheim, “Il problema delle generazioni”, di Daniel Levinson, “La struttura della vita individuale” e di Michael Anderson, “L’emergere del ciclo di vita moderno in Inghilterra”, trattidall’antologia sociologica curata da Chiara Saraceno, “Età e corso di vita”, Il Mulino, Bologna, 1986,
- G.H.Jr. Elder, “Age differentiation and life course”, in “Annual Review of Sociology”, 1, 1975;
- C.M. Beall, “Theoretical dimension of a focus on age in phisichal anthropology”, e M. Fortes, “Age, generation and social structure”, in D. Kertzer e J. Keith (a cura di), “Age and anthropological theory”, Ithaca, New York, Cornell University Press, 1984.
La considerazione della soggettività umana come chiave di volta della comprensione storica presupponeva, da un lato, l’importanza delle varie dimensioni (sociale, economica, relazionale, culturale, simbolica, ideale, spirituale, affettiva) che la intessevano, dall’altro, l’importanza dei soggettivi modi di vivere quelle dimensioni e di interagirvi.
Il mezzo usato per evidenziare il ruolo e la funzione della soggettività nella determinazione del divenire storico, nella mia tesi di laurea, sono state dieci autobiografie, orali, di persone in vario modo coinvolte in attività terroristiche.
L’uso delle fonti orali, in particolare del racconto autobiografico dell’intera vita, è una metodologia di ricerca storica che ho appreso da Luisa Passerini (eminente docente dell’Università di Torino, dalla seconda metà degli anni 1970, mia relatrice di tesi).
Pur avendo appreso i suoi saperi in “presa diretta”, mi sembra doveroso citare i suoi scritti, di quegli anni:
- 1978, (a cura di) “Storia orale, vita quotidiana e cultura materiale delle classi subalterne”, Rosemberg & Sellier, Torino
- 1984, “Torino operaia e fascismo”, Laterza, Bari
- 1988, “Autoritratto di gruppo”. Giunti barbera, Firenze.
- 1988, “Storia e soggettività. Le fonti orali, la memoria”, La Nuova Italia, Firenze.
- 1988, “Ferite della memoria. Immaginario e ideologia in una storia recente”, in Rivista di Storia Contemporanea, fasc. 2
C’è un filone di ricerche storico-sociali e antropologiche che ha dato grande importanza alla storia della cultura umana, in particolare ai suoi miti e alle sue idealità, per le funzioni che assumono nella vita ordinaria, quotidiana, delle singole persone, e per come, le stesse, le utilizzano.
L’uso delle fonti orali e del racconto autobiografico è stato uno dei mezzi privilegiati per tali ricerche.
Il racconto autobiografico, dell’intera storia di vita, è una miniera di tali fenomeni culturali, per il suo mettere in luce interpretazioni di sé e del mondo, atteggiamenti mentali, appartenenze ideali e credenze collettive.
Il racconto autobiografico, quindi, non è usato per la ricostruzione di eventi, ma esso stesso come evento, che riflette la soggettività del narratore e il relativo rapporto con gli eventi narrati; un racconto che esprime gli elementi d’immaginario, di coinvolgimento emotivo/affettivo, d’identificazione culturale, del soggetto narrante; un racconto che, immancabilmente, evidenzia l’importanza delle scelte comportamentali di quel soggetto, nei momenti cruciali della propria esistenza, quelli di crisi personale.
Soggettività/autobiografia/counseling, una linea continua di studi e di formazione, che mi ha portato a elaborare un metodo autobiografico originale, di cui ho scritto un libro, che utilizzo come lavoro di consapevolezza, nei miei percorsi di counseling e di Formazione IN Counseling. (Domenico Nigro, “L’esistenza e le sue crisi. Storie di vita e di Counseling”, La Rondine, Catanzaro, 2018).
I racconti autobiografici su cui ho lavorato, per la mia tesi di laurea, rivelavano, pressoché immancabilmente, il loro essere opera di ricostruzione e interpretazione di vissuti, che diventavano esperienza in forza della loro “dotazione di senso”.
In altre parole, si riscontrava in essi quanto J. Hillman, ha presentato nelle sue “Storie che curano” (Raffaello Cortina, Milano 1984).
Hillman, da bravo psicoanalista, era interessato alla ricerca dei “modelli di necessità” che governano l’immaginazione; vedeva nella comune “base poetica della mente” terapeuta-paziente, il terreno di collaborazione sul quale agire per ricostruire, anche reinventandolo, il vissuto dell’analizzato, organizzandolo in una nuova storia di vita, accettabile!
Quello che proponeva, rispecchiava quanto semiologi e studiosi delle strutture narrative rilevano delle stesse, e cioè il loro essere “ricostruzioni di senso all’interno di cosmi immaginali”.
L’intenzione di Hillman era di lavorare alla ristrutturazione di tali “cosmi immaginali”, lavorando sui collegati costrutti narrativi riportati dai suoi pazienti.
Nel caso dell’utilizzo dell’autobiografia in chiave storiografica, ci si “accontentava”, invece, di rilevare tali “cosmi immaginali” per vederne l’utilizzo che i singoli ne riproducevano nelle loro vite e cosa questo comportava per loro.
Un’identica operazione si fa, facendo counseling, con i racconti dei clienti: da questi, insieme, counselor e cliente rilevano cosa fa il cliente dei propri “cosmi immaginali” (includendo in essi non solo idealità varie, soprattutto i correlati stati emotivi) e cosa questo comporta per lui e per le persone con cui interagisce. Portarlo alla luce attiva i processi di consapevolezza che aiuteranno il cliente a stare meglio, trovando migliori modi di corrispondere a ciò che lo sta mettendo in difficoltà.
Uno sfondo teorico che ha fatto da filtro alla mia formazione in counseling è stato lo studio della gestalt, come teoria della percezione umana e come pratica psicoterapeutica.
D’altro canto, però, la gestalt, in forza della propria visione olistica e fenomenologica/esistenzialistica della vita umana, era già stata (benché a mia insaputa) uno sfondo importante della metodologia storiografica (basata sulla valorizzazione della soggettività), su cui si basavano i miei studi universitari.
Alla gestalt è dedicata una sezione specifica nella parte bibliografica che seguirà questa nota autobiografica.
Per la comprensione dei background olistici/fenomenologici/esistenzialisti della gestalt, per me è stata particolarmente importante la lettura di tre testi, che segnalo in particolare:
- Fritjof Capra, “La rete della vita”, Rizzoli, 2001
- Mark Epstein, “Pensieri senza un pensatore. La psicoterapia e la meditazione buddhista”, Ubaldini Editore, Roma, 1996
- Paolo Quattrini, “Fenomenologia dell’esperienza”, Zephyro Edizioni, Milano, 2007).
Prima della mia formazione in counseling, mi era ben chiaro il valore sociale delle emozioni.
Con la mia formazione in counseling ho compreso la loro importanza, nella crescita personale che accompagna, e sostiene, l’esistenza di noi tutti.
Sulle emozioni, per comprendere quanto possano essere la rampa di lancio o il freno di quanto di bello e di brutto ci capita nella vita, due letture sono state per me particolarmente importanti: Candace B. Pert, “Molecole di emozioni”, Corbaccio, Milano, 2000 e Eugenio Borgna, L’arcipelago delle emozioni”, Feltrinelli, Milano, 2001).
In ultimo, ci tengo a dichiarare il particolare valore che hanno avuto, per me, tutti i testi di Fritz Perls, riportati nella seguente bibliografia, e “Il codice dell’anima”, di James Hillman.
Leggerli/studiarli é stato un viaggio di scoperta della natura e dell’anima umana, così meraviglioso e nutriente che auguro a Tutti di farne esperienza.
BIBLIOGRAFIA
Sono qui raggruppati, per temi, i testi di più diretto collegamento con quanto elaborato e proposto nel presente manuale.
Storia del Counseling
- Frank Parsons, “Choosing a Vocation”, Houghton Mifflin, Boston, 1909.
- Jesse B. Davis, “Guidance Counseling”, 1913
- Alessandro Onelli, Blog professionale, “Counselling – la “materia oscura” di uno scontro tutto italiano dai contorni più politici che professionali”, https://www.alessandroonelli.it/counselling-la-materia-oscura-di-uno-scontro-tutto-italiano-dai-contorni-piu-politici-che-professionali/
Elementi di Counseling
- Marcella Danon, Counseling. L’arte della relazione d’aiuto attraverso l’empatia, edizioni red!, 2009
- E. Spalletta e F. Germano, “Microcounseling e microcoaching”, Sovera, 2006
- D. Nigro, “L’esistenza e le sue crisi. Storie di vita e di counseling. Un nuovo metodo autobiografico”, Edizioni La Rondine, 2018
- Franco Nanetti, “Counseling”, Pendragon, 2009
- M. Sclavi, “Arte di ascoltare e mondi possibili”, Le Vespe, 2000
- P. Clarkson, “Gestalt Counseling”, Sovera, 1992
Teoria e Tecniche della Comunicazione
- Paul Watzlawich e altri, “Pragmatica della comunicazione umana”, Astrolabio, 1971
- D. Nigro, “L’ABC delle competenze relazionali”, Edizioni Fortepiano-Pendragon, 2012
- G. Bert – S. Quadrino, “L’arte del comunicare”, Change, 2005
- Quadrino, “Capire. Capirsi. Il metodo del discorso”, Change, 2005
- H. Franta e G. Salonia, “Comunicazione interpersonale”, LAS, 1981
- M. Pacori, “I segreti del linguaggio del corpo”, Sperling & Kupfer 2010
- M.B. Rosemberg, “Le parole sono finestre, oppure muri”, Edizioni Esserci, 2003
- M. Biavati, “Laa relazione che cura”, EDB, 2006
Elementi di Sociologia, Antropologia, Filosofia, Storia Sociale, delle Religioni.
- G. Hurd, “Lo studio della società”, Mondadori, 1977
- Simonetta Tassinari, “Instant Filosofia”, Gribaudo, 2020
- M. Mead, “Maschio e Femmina”, Il Saggiatore, 1962
- C. Saraceno (a cura di), “Età e corso della vita”, Il Mulino, 1986.
- S. Freud, “Il disagio della civiltà”, Boringhieri, 1971.
- Hannah Arendt, “La banalità del male”, Feltrinelli, 1964
- A. Gramsci, “I quaderni del carcere”, Einaudi, 1975
- S. Tax (a cura di), “Orizzonti di Antropologia”, Morcelliana,1973
- K. Lorenz, “Evoluzione e modificazione del comportamento”, Boringhieri, 1971
- A. Van Gennep, “I riti di passaggio”, Boringhieri, 1981.
- E. De Martino, “Naturalismo e storicismo nell’etologia”, Laterza, 1941
- E. De Martino, “La fine del mondo”, Einaudi, 1977
- B. Malinowskj, “Baloma. Gli spiriti dei morti nelle isole Trobiand”, in “Magia, scienza e religione”, Newton Compton, 1976
- E. Durkheim, “Le forme elementari della vita religiosa”, Edizioni Comunità, Milano, 1963 – opera originale in francese, Parigi, 1912
- F. Braudel, “Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II”, 1949
- F. Braudel, “La longue durée (La lunga durata), 1958
- Sun Tzu, “L’arte della guerra”, Newton Compton, 1994
- AA.VV., Martin Heidegger. Ontologia, Fenomenologia,Verità, a cura di S. Poggi e P. Tomasello, Led, Milano, 1995.
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- Alba Marcoli,“Il bambino lasciato solo”, “Il bambino perduto e ritrovato”, “Il bambino arrabbiato”,” Il bambino nascosto”, “Passaggi di vita”, Oscar Mondadori
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- A. Lowen, “Il tradimento del corpo”, Edizioni Mediterranee, 1967
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- Oreste A.M., “Corpo celeste”, Adelphi, Milano 1997
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- C. R. Rogers, “Psicoterapia di consultazione”, Astrolabio, 1971
- C. R. Rogers, “Potere personale”, Astrolabio, 1978
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- Eric Berne, “A che gioco giochiamo”, Bompiani, 1967
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- C. P. Pert, “Molecole di emozioni”, Corbaccio, 2000
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- G.C. Giacobbe, “Come smettere di farsi le seghe mentali e godersi la vita”, Ponte alle Grazie, 2003
- Pietro Amerio, “Teorie in psicologia sociale”, Il Mulino – capitoli: – VI, Kurt Lewin: o della psicologia sociale (sul campo e sulle dinamiche di gruppo);- XIII, L’articolazione psicosociale nella psicologia sociale europea contemporanea (gruppi, intergruppo e relazioni intergruppi)
- Paul Fraisse e Jjean Piaget (a cura di), “Trattato di psicologia sperimentale”, Giulio Einaudi Editore (in particolare il vol. 9 Psicologia Sociale, cap. XXX L’interazione sociale nei piccoli gruppi, di Germaine de Montmollin)
- Kurt Lewin, “La teoria, la ricerca, l’intervento”, Il Mulino
- L. Stanchieri, “Esser leader non basta…”, Franco Angeli, 2006
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