Dal “Counseling” allo “Yogging”
Dal “Counseling” allo “Yogging”.
Per liberarsi dall’abbraccio mortale della Psicologia e della Psicoterapia.
Il Counseling in Italia, a differenza del resto del mondo, è materia oggetto di molte polemiche e conflitti.
Nemici agguerriti del Counseling, come specifica professione esercitata da counselor professionisti, sono alcuni psicologi, che rivendicano il counseling come un’attività di loro esclusiva competenza, una sorta di riserva privata, giuridicamente protetta.
Sui motivi e le ragioni che adducono per sostenere una tale posizione non voglio impegnare alcuna parola: ci pensino loro a suonare le trombe e a battere i tamburi di così tanta proterva sicumera.
Voglio invece presentare alcune considerazioni su “cosa è stato, cosa può e potrà essere il Counseling” per noi counselor italiani, riflettendo sulla sua natura, sulle sue funzioni sociali e su come l’idea di Counseling potrebbe essere rielaborata per renderne più semplice l’affermazione.
Allora: “cosa è stato per noi counselor italiani il Counseling?
Innanzitutto una magnifica esperienza di crescita e di arricchimento personale.
Con le nostre formazioni IN Counseling,
- abbiamo imparato ad ascoltare e quanto sia prezioso;
- abbiamo lavorato sulla nostra empatia, per valorizzarne e specializzarne le funzioni;
- abbiamo imparato ad osservare senza giudicare;
- abbiamo migliorato le nostre capacità di comunicazione interpersonale;
- abbiamo appreso/perfezionato una quantità e qualità importante di conoscenze sull’esistenza umana, nei suoi versanti storici-antropologici-filosofici-sociologici-psicologici;
- abbiamo fatto esperienza delle valenze pedagogiche-formative-educative del Counseling e di quanto queste possano funzionare nei più svariati contesti sociali;
- abbiamo dato al Counseling varie vesti professionali.
E, inaspettatamente, siamo diventati una vera e propria categoria professionale, con organizzazioni e rappresentanze nazionali, andando ben oltre i confini immaginati da chi ha introdotto il Counseling in Italia.
Con questo articolo voglio presentare una mia tesi sull’identità del Counseling, che concluderò con una proposta/provocazione: dare al Counseling una veste ed una denominazione nuova, che ci aiutino a chiudere ogni conflitto col mondo della Psicologia.
Procederò per il tramite di una successione di argomentazioni.
ARGOMENTAZIONE N. 1
Il Counseling nasce come particolare e specifica attività professionale negli Stati Uniti, nei primi anni del ‘900, ad opera di alcuni insegnanti di scuola media superiore, che, in forza del loro continuo contatto professionale con i giovani, si rendono conto delle difficoltà che questi incontrano nel compiere e nel sostenere le proprie scelte, sia in materia di studi, sia nel mondo del lavoro.
Questi insegnanti decidono di aggiungere, alle loro classiche lezioni, un servizio di orientamento e guida che aiuti, chi ne ha bisogno, a muoversi con migliori risultati nelle proprie scelte di studio e di occupazione.
L’ispirazione e la prassi di tale “servizio aggiuntivo” è di chiara matrice pedagogica-filosofica:
- dalla Filosofia mutua lo spirito maieutico dell’indagine introspettiva, volta ad estrarre quella coscienza di sé e quella conoscenza del mondo necessarie al buon vivere;
- dalla Pedagogia deriva l’intenzione di valorizzare potenzialità, risorse e talenti dei soggetti cui viene prestato aiuto.
Tale “servizio scolastico aggiuntivo” viene chiamato, dai suoi ideatori-fondatori, “Vocational Counseling” e “Guidance Counseling”.
I primi counselor della storia sono quindi una sorta di “consiglieri scolastici”, denominazione che possiamo accettare in mancanza di un corrispettivo termine italiano e, paradossalmente, a condizione di tenere assolutamente conto del fatto che il fare Counseling non si qualifica nel dare consigli, anzi: proprio “NON CONSISTE NEL DARE CONSIGLI”.
Il più famoso “Consigliere Scolastico” della storia è Frank Parsons, che nel 1909 scrive “Choosing a Vocation” (“Scegliere una vocazione”), ivi presentando le linee guida del Counseling professionale:
- l lavoro sulla motivazione: la valorizzazione cioè della spinta “vocazionale” dei giovani (alias i primi clienti dei primi counselor), vista come istanza mossa dalle loro migliori capacità e dai loro più forti entusiasmi; per F. Parsons, il saper individuare e valorizzare la propria “vocazione” è considerato una delle questioni più rilevanti per i giovani e per le persone in generale, relativamente alla possibilità di aver successo nel lavoro e nella vita;
- L’importanza data al “processo” necessario per arrivare alla definizione e attuazione della miglior scelta possibile per il bene di chi la compie: conoscenza di sé, auto-indagine, auto-rivelazione, autoapprendimento, sviluppo delle capacità di adattamento;
- Il ruolo del Counselor, professionista facilitatore ed esperto del processo di cui sopra.
- La formazione di un Counselor, che si svolge attraverso specifiche lezioni, lavori di ricerca, pratiche di laboratorio, analisi dei risultati ottenuti, conferenze, discussioni e prove speciali soggette alla critica, dei trainer e dei partecipanti ai gruppi di lavoro, circa le indicazioni ritenute appropriate per la soluzione del problema specifico presentato nei casi in esame;
- I requisiti per accedere al corso di formazione professionale IN Counseling:almeno un diploma di scuola superiore o equivalente;una soddisfacente esperienza di due anni o più nell’insegnamento, nel business, nel lavoro sociale o equivalente;avere un’età minima di venticinque anni, a meno che, pur essendo più giovane, non si abbia un alto livello di maturità;
- Le qualità umane del Counselor: assennatezza, carattere eccellente e personalità che inviti al rispetto e alla fiducia, buona cultura generale; buone capacità d’apprendimento, buone maniere e cortesia; conoscenza pratica dei principi fondamentali e metodi della psicologia moderna; esperienza personale che implichi sufficiente contatto umano e una buona conoscenza delle diverse tipologie e fasi della natura umana; capacità di comprensione delle motivazioni sottostanti agli interessi e alle ambizioni che governano la vita degli uomini; essere in grado di riconoscere i segnali che qualificano il carattere delle persone; essere capace di trattare con i giovani in modo empatico, sincero, curioso, schietto, collaborativo e attraente; avere un buona attitudine “allo stare in, e all’essere di, servizio”, spirito di partecipazione ed imparzialità; tatto, comprensione intellettuale e una buona dose di creatività;
- I principi su cui basare la relazione counselor-cliente: non possono essere istituzioni e/o parenti a scegliere per i giovani; sono loro (i clienti) a scegliere la propria vocazione professionale; il counselor li accompagna nel percorso di consapevolezza che li porterà a riconoscere la propria “vocazione” e a compiere le relative scelte di studio e di lavoro; è la persona (il cliente), con la sua stessa osservazione, autoanalisi ed esperienza, a far luce sulle sue questioni; bisogna rispettare le attitudini, abilità, ambizioni, risorse e limiti di ogni persona, creando le condizioni per cui sia la persona stessa a riconoscerle e a decidere cosa farsene.
ARGOMENTAZIONE N. 2
Negli Stati Uniti, nel corso della prima metà del ‘900, il Counseling, si afferma sempre più come specifica attività professionale, istituzionalizzandosi, anche con leggi ad hoc, e beneficiando di appositi fondi pubblici (possiamo trovare una buona ed articolata presentazione di tale processo grazie ad Alessandro Onelli, collega counselor, che l’espone nel suo blog professionale; clicca qui).
La sfera d’azione del Counseling professionale, dall’orientamento scolastico-lavorativo, si allarga ad altri, e diversi, contesti sociali, trovando applicazioni per:
- il collocamento di personale militare in occasione della prima guerra mondiale,
- il reinserimento sociale dei reduci di guerra
- problematiche varie di adattamento sociale (in collegamento particolare con gli effetti della crisi economica americana del 1929, quella della “Grande Depressione”)
- problematiche familiari e crisi coniugali
Il Counseling si afferma per il suo riconosciuto valore di servizio professionale, di tipo relazionale, efficace nell’aiutare chi fa fatica ad affrontare e superare difficoltà di varia natura, che non originino da qualche forma di malattia o disturbo mentale, ma che, più semplicemente, riguardino la gestione più o meno complessa di ordinarie e straordinarie problematiche collegate al vivere sociale.
In parallelo al suo affermarsi negli stati Uniti, il Counseling muove i suoi passi anche nel resto del mondo, particolarmente in quello anglosassone.
ARGOMENTAZIONE N. 3
La questione verrà ripresa ed argomentata, ma già qui è importante anticipare che, sempre a partire dagli Stati Uniti, dalla fine degli anni ’30 in poi, la storia del Counseling intreccerà quella della Psicoterapia, confluendovi e confondendovisi in vario modo.
Ricapitolando:
- Il termine Counseling viene usato per la prima volta in America, ai primi del ‘900, da alcuni insegnanti di scuola media superiore, per denominare un particolare intervento di aiuto/orientamento nei confronti di quegli allievi che vivono particolari difficoltà di carattere personale-sociale-lavorativo, soprattutto relativamente alle scelte occupazionali e di studio da affrontare.
- Il Counseling nasce da una matrice filosofico-pedagogica, dalla quale mutua l’ispirazione e la prassi di far leva sull’introspezione maieutica e sulla valorizzazione delle potenzialità e delle risorse sane dell’individuo.
- Il Counseling non riguarda la cura medico-sanitaria di alcunché di psico-patologico, ma è un’attività di sostegno volta a facilitare l’individuazione delle più opportune scelte esistenziali, personali-professionali e di integrazione sociale, in situazioni particolarmente difficili.
ARGOMENTAZIONE N. 4
Le “abilità di counseling”.
Dalla fine degli anni ’30, alcuni psicoterapeuti che si riconoscono nella Scuola della “Psicologia Umanistica”, valorizzano quelle che potremmo chiamare le “abilità di counseling” nelle loro relazioni psicoterapeutiche, arrivando a considerarle parte integrante, quando non centrale, della propria professionalità.
Cosa intendiamo per “abilità di counseling”?
Principalmente, il saper:
- Accogliere amorevolmente
- Ascoltare empaticamente
- Osservare senza giudicare,
- Empatizzare,
- Confrontare criticamente, ma gentilmente
- Comunicare efficacemente, ma con riguardo e rispetto della sensibilità altrui,
- Ricorrere all’espressione Artistica,
- Agire creativamente,
- Saper valorizzare creativamente le proprie e le altrui potenzialità.
ARGOMENTAZIONE N. 5
In Italia, dopo quasi un secolo, alcuni psicologi dichiarano l’utilizzo di tali “abilità di counseling” una propria esclusiva prerogativa e pretendono che il Counseling venga riconosciuto come una loro specifica ed esclusiva attività.
Lasciamo tali psicologi nei loro deliri, ma teniamo bene a mente il fatto che:
- le “abilità di counseling” sono potenzialità umani preesistenti ogni appropriazione da parte di chicchessia;
- nel mondo della Psicologia, sono stati e sono degli psicoterapeuti (cioè professionisti che hanno aggiunto alla laurea in Psicologia una specifica formazione pratica-esperienziale di diversi anni) che hanno riconosciuto il valore psicoterapeutico delle “abilità di counseling”, le hanno introdotte e le introducono nel proprio operare, facendo e proponendo su di queste una formazione ad hoc;
- Il piano di studi della laurea in Psicologia è di tipo teorico e non prevede una formazione organizzata specificamente sull’acquisizione delle “abilità di counseling”, né sul loro specifico utilizzo;
- Le “abilità di counseling” possono essere apprese esclusivamente per il tramite di una formazione pratica-esperienziale, associata ad un percorso personale di lavoro-conoscenza di sé; cosa non prevista dai corsi di laurea in Psicologia, ma obbligatoria nella formazione che propongono le scuole di counseling in Italia.
ARGOMENTAZIONE N. 6
Seppur intrecciate, quella della psicologia e quella della psicoterapia sono due storie diverse.
Iniziamo col dire che la storia della psicoterapia (intendendo per essa tutto ciò che, storicamente, ne ha assolto le funzioni di cura dello sviluppo e del miglioramento umano, in materia di benessere, crescita, affermazione e felicità personale) origina nella filosofia classica-ellenica, prosegue con l’intera storia della filosofia fino ai nostri tempi, incrociando e interscambiando saperi con tutte le “scienze” umane via via affacciatesi nella storia dell’umanità.
Il perché di questo è ovvio: la filosofia prima, tutte le altre scienze umane dopo, seppur da fronti diversi, si sono sempre occupate, e continuano ad occuparsi, dello studio e dell’analisi delle istanze e delle dinamiche collegabili all’esistenza umana, con particolare riferimento a quelle di crescita, di organizzazione e di sviluppo.
“Psiche” e “Terapia” sono due funzioni indistinguibili da tutto ciò che ha a che fare con l’esistenza umana, con la sua crescita, organizzazione e sviluppo, in ogni suo versante di specie, di genere, di identità collettiva ed individuale. Vediamo i perché.
Il termine terapia deriva dal greco “therapeìa”: ciò che cura e guarisce.
Cura e guarigione sono due funzioni distinte, seppur interagenti.
La guarigione avviene in forza della cura.
Il concetto di cura, però, ha una molteplice valenza:
- quella medico-sanitaria: tutto ciò che possiamo fare per combattere e debellare uno stato di malattia;
- quella salutistica: tutto ciò che possiamo fare per migliorare la nostra salute, cioè il nostro “star bene”, anche come prevenzione dell’insorgenza di malattie e rafforzamento delle nostre difese contro le stesse;
- quella del miglioramento e del far crescere; esempio: prendersi cura del proprio aspetto, curare i propri figli, prendersi cura delle proprie piante;
- quella del prestare attenzione, del difendere, dell’occuparsi, come esplicita, in modo esemplificativo, la seguente esortazione: “cura i tuoi affari, che è meglio!”
Il curare è indiscutibilmente una funzione che procede su più versanti.
Ci soffermiamo su due di questi:
- quello della cura della malattia e
- quella del “curare”, nel senso di prendersi cura di tutte quelle funzioni vitali sane che presiedono ai, e qualificano i, nostri stati di salute/benessere nonché quelli di crescita e sviluppo personale.
Nell’antica Grecia, il concetto di “cura” non era circoscritto all’azione volta alla guarigione di un qual si voglia stato di malattia.
Il concetto di cura era un tutt’uno con quello del “prendersi cura”.
Per gli antichi greci, ci si prendeva cura, di noi stessi e/o degli altri, ogni qual volta si faceva qualcosa in vista dello “stare bene”, del “crescere”, del “migliorare”, noi stessi e gli altri!
Tutto ciò che aveva questo valore era “cura”, “guarigione”, alias “therapeìa”.
Certo! Il medico che curava il malato e lo guariva svolgeva un’azione terapeutica.
Ma che dire, ad esempio, del maestro/precettore/pedagogo che si prendeva cura dei propri allievi e si applicava perché potessero apprendere quei “saperi” che avrebbero migliorato la loro vita!?
Per gli antichi greci, anche questo era “therapeìa”.
Insomma, era terapeutico tutto ciò che migliorava uno stato dell’esistenza: non solo dall’essere malato all’essere sano, ma dall’essere ignorante all’essere sapiente, dall’essere meno all’essere più abile nel compiere una qual si voglia azione di utilità personale e/o sociale: leggere, scrivere, far di conto, saltare, correre, suonare, dipingere, danzare, guerreggiare, ecc. ecc.
Per gli antichi greci, era terapeutico tutto ciò che faceva star meglio e lo stare meglio era una funzione della cura a questo applicata.
Il nostro “progresso sociale”, con i collegati sviluppi di interessi corporativi ed egoistici è riuscito a restringere il concetto di terapia, “medicalizzandolo”, fino a ridurlo (dal “De Voto – Oli, Dizionario della lingua italiana) a: “Branca della medicina che tratta dei mezzi e delle modalità usati per combattere le malattie …”
Nell’antica Grecia la “Therapeìa” riguardava le persone e la cura a queste dedicata (sane o malate che fossero).
Nell’Italia odierna la Terapia riguarda la malattia => solo chi è terapeuta può curare una malattia => non ci prendiamo più cura delle persone => ci occupiamo delle loro malattie.
Ed ecco circoscritto un dominio di operatività professionale, a partire da una falsa logica.
Il termine “psiche”, nella tradizione classica, viene utilizzato per riferirsi alla più importante delle funzioni umane, il respiro, visto come elemento costituente, più importante, della natura spirituale dell’uomo e della sua componente fondamentale: l’anima.
Respiro e anima sono due istanze immancabilmente, nella storia della cultura umana, collegate alla nostra vita emozionale-mentale-comportamentale, per questa ragione alla “psiche” come oggetto di studio, analisi e lavoro, la moderna Psicologia si riferisce, quando nasce come “scienza” che intende occuparsi dei fenomeni e delle funzioni che presiedono al, e governano il, comportamento umano.
Spinta da istanze positivistiche-scientiste, però, la nascita della Psicologia, nonostante i suoi naturali collegamenti con la storia della Filosofia e della Pedagogia, da questa prenderà immediate e significative distanze, producendo, con questa stessa storia, un’importante frattura.
La Psicologia accademica-universitaria diventerà sempre più un contenitore riempito di tutte le nostre emozioni, sentimenti, pensieri e istanze comportamentali in grado di produrre riflessi automatici: un territorio d’analisi, studio e lavoro che gli psicologi non si accontenteranno di presidiare come loro specifico dominio, ma si spingeranno a reclamare come “una loro esclusiva competenza”.
Cosa di cui stiamo facendo le spese, ad esempio, noi counselor italiani.
La Filosofia, ha un’etimologia che ne inquadra la natura. Deriva dal greco antico φιλοσοφία e dalla sua traduzione latina di philosophía. È una parola, composta da due termini:
- Filo, che sta per φιλεῖν (phileîn), “amare”
- Sofia, che sta per σοφία (sophía), “sapienza”
La Filosofia è, dunque, l’amore per la sapienza. Il filosofo si pone domande e riflette sulla vita, sulle sue origini e sviluppi, in particolare sulla vita e sull’esistenza umana; vuole conoscere l’uomo e le istanze che ne muovono i pensieri, i comportamenti, i sentimenti.
La Filosofia non può non avere che un milione di ricadute in tutto ciò che riguarda la cura, il curare, il prendersi cura, ogni forma di terapia e ogni istanza e attività educativa e pedagogica deve qualcosa alla Filosofia.
La Pedagogia è quel campo di applicazioni umane che, in vario modo, si dedicano allo studio e all’esercizio dell’educazione, della crescita e dello sviluppo dei singoli individui. È quindi ovvio il suo collegamento con la filosofia (in primis quella socratica), dalla quale trae mille insegnamenti e della quale rappresenta una sorta di specializzazione. I primi pedagoghi furono i precettori/istitutori della Grecia antica: quei servi a cui le famiglie agiate affidavano le cure educative dei propri rampolli.
Per i loro risvolti di “cura” della crescita, dello sviluppo e del benessere umano, Filosofia e Pedagogia sono la mamma e il papà di ogni forma di Psicoterapia, almeno fino a quando la Psicoterapia non incontrerà la Psicologia ed il suo interesse per la cura, in senso medico-sanitario, dei disturbi e delle malattie della “psiche”.
Da questo incontro la Psicoterapia, in almeno una sua parte, verrà profondamente contaminata, subendo una sorta di mutazione genetica che ne trasformerà lo spirito.
La Psicologia nasce nel tardo ‘800 con una forte spinta “positivistica”.
Cosa vuol dire questo?
La Psicologia nasce come Scienza, che studia il comportamento umano come risposta di specifiche dinamiche mentali, includendo in esse quelle emotive.
Nasce e si sviluppa con la pretesa di individuare correlazioni certe tra le cause e gli effetti del comportamento umano.
Come prevede il positivismo scientifico, anche la Psicologia indaga le relazioni di causa-effetto dei fenomeni oggetto della propria osservazione, riconoscendo tali relazioni sulla base della possibilità di replicarle in laboratorio e/o di riscontrarle, evidenziandole, su basi statisticamente attendibili.
Il suo interesse, e la sua pretesa, è quello di individuare le cause del comportamento umano, con lo scopo di poterlo governare, intervenendo su di esso, modificandone le cause o correggendone gli effetti.
La Psicologia, come scienza, rappresenta il paradossale tentativo, e la presunzione, di poter applicare ad un soggetto animato (l’uomo, che notoriamente è dotato di una propria volontà e di un’irriducibile potenzialità di autonomia e indipendenza), le pratiche di studio, analisi ed intervento tipiche di quelle scienze i cui oggetti sono inanimati, quindi senza psiche, nonostante si chiami Psicologia.
La Psicologia moderna origina e si sviluppa in un ambito medico-accademico-universitario. Di tale ambito subisce le influenze culturali e le ricadute politico-economiche. Tra le più importanti, la sua forte caratterizzazione sanitaria di scienza che studia la psiche per poterne curare le patologie, cosa che produrrà la stortura di asservire a tale funzione la Psicoterapia, obbligando, chi vuole dedicarsi professionalmente alla psicoterapia, a laurearsi preventivamente in Psicologia, come alternativa alla laurea in Medicina.
La Psicoterapia moderna nasce con l’obiettivo-intenzione di curare la Psiche malata; in questo senso si pone come la prima declinazione sanitaria della Psicologia (la cui nascita possiamo inquadrare nel 1890, ad opera di Wilhelm Wundt).
La Psiche malata era già oggetto di cura della Psichiatria, disciplina/specializzazione medico-scientifica; adesso diventa anche oggetto di cura di una nuova disciplina, che, sforzandosi di utilizzare i metodi delle scienze fisiche, pretende d’essere scientifica: la Psicologia e la sua derivata Psicoterapia.
ARGOMENTAZIONE N. 7
In Italia, il Counseling nasce negli anni 1990, in un tempo in cui i suoi sviluppi storici ed i suoi utilizzi pratici si sono fortemente intrecciati ed integrati con la storia della Psicoterapia (si badi bene: NON con la storia della Psicologia).
In Italia, il Counseling non nasce, come movimento professionale istituito, capeggiato e sviluppato da counselor, viene introdotto per il tramite di specifiche Scuole di Counseling, istituite, organizzate e dirette da alcuni psicoterapeuti.
Si tratta di professionisti che integrano le “abilità di counseling” nella propria filosofia e prassi psicoterapeutica, e ne diventano esperti fino al punto di poterne erogare la formazione, organizzandola in vere e proprie Scuole di Counseling, ben consapevoli di quanto:
- il Counseling sia una relazione d’aiuto professionale che, a tutto tondo, trova buone ed efficaci applicazioni in ogni ambito di esistenza umana, non solo in quelli sanitari;
- per le sue funzioni di cura e promozione del benessere, il Counseling sia stata una competenza relazionale acquisita dalla moderna Psicoterapia, ma comunque distinguibile da essa, soprattutto quando la Psicoterapia viene confinata nella sua funzione di cura sanitaria dei disturbi psicologici;
- l’istituzione e la proposta della formazione IN Counseling, in Italia, possa essere un’intelligente operazione di mercato e risposta creativa ad una particolare stortura legislativa e culturale che caratterizza la storia della psicoterapia in Italia.
La stortura legislativa/culturale cui mi riferisco è quella di riconoscere, giuridicamente, solo ai laureati in medicina ed in psicologia il diritto di accedere alla formazione in psicoterapia e, quindi, alla relativa attività professionale di psicoterapeuta.
Una stortura legislativa che è confluita nella stortura culturale di posizionare la psicologia-psicoterapia, principalmente, come attività di cura-terapia di carattere medico- sanitario; cosa che ha lasciato (e continua a lasciare) molto sullo sfondo le altre 1000 utili e interessanti, possibili, applicazioni della Psicologia-Psicoterapia in ambiti NON sanitari.
Principale responsabilità di questo accadimento non può che essere ascritta agli psicologi e psicoterapeuti italiani stessi, che hanno, di fatto, al quanto disdegnato il campo di attività professionali legate all’aiuto socio-esistenziale, identificandosi in massa nella visione di “specialisti preposti alla cura dei disturbi e della malattie mentali”.
La nascita del Counseling e di un’altra nutrita quantità di attività professionali, centrate sull’aiuto alla persona, in Italia, ha quindi in parte riempito uno spazio che psicologi e psicoterapeuti hanno “snobbato”.
Ma quando noi Counselor & Altri Professionisti della Relazione d’Aiuto lo abbiamo valorizzato e reso appetibile, gli psicologi hanno reagito reclamandolo come loro dominio esclusivo, pretendo di poterlo occupare solo loro, pur non essendone capaci e non avendone le necessarie competenze (principalmente perché non debitamente formati alla bisogna).
Ma, per riprendere il filo del discorso legato alla “stortura” legislativa/culturale del confinamento della psicologia/psicoterapia in ambito sanitario, dobbiamo ritornare all’analisi della storia della psicologia-psicoterapia nel mondo e in Italia.
ARGOMENTAZIONE N. 8
C’è un “corpo” della Psicoterapia moderna che aggiunge il Counseling alle sue anime.
Abbiamo or ora parlato della Psicoterapia moderna come “funzione asservita” ad un’idea di Psicologia principalmente volta alla “cura” sanitaria della psiche (malata) umana.
Ne è prova il primo significativo esempio di psicoterapia moderna: la psicoanalisi freudiana.
Sigmun Freud, un medico, lavorando su alcuni propri particolari casi clinici, in contatto creativo con i suoi “saperi” storici-classici-mitologici-filosofici-sociologici (non certo quelli psicologici , che erano ancora molto indefiniti, né tanto meno quelli medico-scientifici!), procedendo empiricamente “per tentativi ed errori”, arriva ad una sua intuitiva definizione della struttura della psiche, articolandola nella famigerata triade Es-Io-Superio.
L’intenzione di Freud era quella di curare alcuni suoi pazienti, variamente affetti da disturbi classificabili come psicopatologie.
La vita è proprio un susseguirsi di eventi che si rincorrono sulla via del paradosso: la prima forma conclamata di “psicoterapia medica”, storicamente presentatasi come tale, è messa a punto sì da un medico, ma facendo ricorso a saperi che con la medicina e la psicologia non c’entrano nulla.
Freud è un esploratore dell’irrazionale, del mondo dei sogni, delle loro valenze simboliche e dei collegamenti che tutto questo ha con l’esistenza materiale degli individui, quella in cui prendono corpo i loro pensieri, i loro sentimenti, le loro scelte, i loro comportamenti, insomma la loro esistenza.
Di questo Freud è assolutamente consapevole e, dopo averla scoperta e praticata, dichiara che la Psicoanalisi, come teoria e prassi, è un sapere acquisibile, principalmente, per il tramite di una psicoanalisi personale, debitamente corposa per durata e profondità.
All’analisi personale bisognerà associare lo studio della sua teoria psicoanalitica ed una buona conoscenza dell’uomo, soprattutto nei suoi versanti di storia della cultura, delle idee e delle espressioni-rappresentazioni artistiche e religiose-spirituali.
Freud non ritiene necessaria una formazione in medicina, né in psicologia, per apprendere ed esercitare professionalmente la sua psicoanalisi, confermando così il suo essere parte di una più generale storia della psicoterapia nata e cresciuta, di fatto sin dagli antichi greci, in ogni intenzione filosofica e pedagogica di usare la psiche per aiutare l’uomo a meglio affrontare qualsivoglia problematica esistenziale di gestione ordinaria e straordinaria della propria vita.
Di fatto e paradossalmente, Freud non fa altro che riagganciarsi ad un’idea e ad una prassi di “psicoterapia”, che ne valorizza l’intrinseca ambivalenza semantica (anche se i suoi epigoni finiranno per attestarsi, quasi esclusivamente, su una sola delle due valenze, quella medico-sanitaria).
Infatti, il termine “psicoterapia”, da un lato, sta ad indicare tutto ciò che possiamo fare per curare la “psiche”; da un altro, sta ad indicarci tutte le possibilità che abbiamo di utilizzare la “psiche” come fonte, istanza e leva terapeutica, soprattutto nei suoi versanti di cura salutistica, volta alla promozione del benessere, della crescita e di un sano sviluppo degli esseri umani.
Nel primo caso, la psicoterapia presuppone una psiche, o una parte di essa, malata, che diventa oggetto di cure, principalmente medico-sanitarie.
Nel secondo caso, la psicoterapia presuppone il ricorso agli elementi costitutivi della psiche (emozioni, sentimenti, pensieri, atteggiamenti comportamentali, bisogni), come strumenti di cura del benessere, della salute e della crescita delle persone.
Nel primo caso ci occupiamo di malattie; nel secondo caso ci occupiamo di persone, rendendo ancora chiara la doppia valenza del termine “terapia”, così come lo abbiamo ereditato dalla nostra storia antica:
- sia di funzione sanitaria e
- sia di funzione salutistica, di crescita e sviluppo personale.
Per rendere più chiaro il concetto di uso della “psiche come leva terapeutica”, pensiamo ad esempio al significato del termine: “cromoterapia”, cioè all’utilizzo di luci e colori a fini “terapeutici” (nell’accezione di ciò che produce benessere, non di ciò che cura malattie):
- così come la “cromoterapia” utilizza degli effetti cromatici in chiave terapeutica (di salute e benessere, non certo di cura di una “cromo” malata!), la “psicoterapia” utilizza degli effetti psicologici per finalità terapeutiche (di salute, benessere e crescita personale).
Più precisamente: attraverso l’uso di particolari competenze relazionali, lo “psicoterapeuta” riesce ad attivare nei propri “pazienti” stati emotivi, visioni delle cose ed atteggiamenti comportamentali in grado di farli star meglio, mettendoli in condizione di muoversi più adeguatamente-funzionalmente nelle situazioni problematiche della loro esistenza.
Questa visione della psicoterapia, già adottata dai primi counselor, è quella che verrà valorizzata, ufficialmente, nel ‘900, dalla “Psicologia Umanistica”, dalla fine degli anni ’30 in avanti; una visione indubbiamente collegata alla storia della Filosofia-Pedagogia, che molto si lega, anche, alla storia dell’arte, maestra nel rappresentarci le valenze psichiche dell’esistenza e nell’offrirsi come strumento psicoterapeutico utile alla gestione delle più svariate situazioni problematiche della nostra vita (non vorrei con questa riflessione aver suggerito a qualche psicologo l’idea di reclamare l’arte e i suoi utilizzi come proprio ed esclusivo dominio!).
ARGOMENTAZIONE N. 9
Questa visione della Psicoterapia, che ha al proprio centro l’attivazione strategica degli elementi costitutivi della psiche, per promuovere il benessere, la salute e la crescita delle persone, è esattamente la visione da cui s’erano mossi i primi Counselor (inizio ‘900), ne riprende gli sviluppi di teorie e prassi, non certo originali, perché figli, come sappiamo, della storia della Filosofia e della Pedagogia.
Questa visione della Psicoterapia è quanto rispolvera un particolare gruppo di psicoterapeuti, che si riconoscono in una particolare “Scuola di Psicologia” denominata “Umanistica”, che prende le distanze dalle influenze della dominante Psicologia accademica (quella di stampo scientista-positivista, quella che predilige una visione di psicoterapia volta alla cura della psiche malata); in particolare, prende le distanze dal determinismo, dal riduzionismo scientista e dalla semplificazione meccanicistica delle due correnti dominanti nel mondo della psicologia: il comportamentismo e la psicoanalisi.
La Psicologia Umanistica è fortemente influenzata dal pensiero filosofico di stampo fenomenologico ed esistenzialista, ne sposa e promuove l’idea che le persone possano essere individui liberi, responsabili, consapevoli e in grado di scegliere autonomamente.
La “Psicologia Umanistica” si rivolge alla persona nella sua interezza; non alla sua psiche malata; fa leva sulle potenzialità di crescita, sviluppo, maturazione di ogni individuo; assume posizioni critiche nei confronti dei trattamenti medico-sanitari-psicologici in vigore; spinge perché venga privilegiata la qualità della relazione psicoterapeuta-paziente.
Per la “Psicologia Umanistica” la centralità dei naturali processi di crescita e sviluppo degli individui è tale da arrivare ad inquadrare le stesse “malattie mentali” come accadimenti incidentali di questi stessi processi, dei quali rappresenterebbero particolari momenti di “impasse-intoppo-interruzione”: compito dello psicoterapeuta diventa così quello di favorire, attraverso la relazione, il ripristino delle migliori condizioni per riattivare il processo di crescita incidentato, interrotto o variamente incagliato.
La qualità della relazione interpersonale atta a produrre un tale risultato è esattamente quella che qualifica la relazione di Counseling, che sappiamo essere basata su competenze relazionali quali l’ascolto empatico-attivo, l’accoglienza, l’osservazione non giudicante, il confronto critico non direttivo; insomma quelle competenze relazionali attraverso il cui strategico utilizzo il counselor fa leva sulla “Psiche” dei propri clienti, cioè su quegli stati emotivi, quelle visioni delle cose e quegli atteggiamenti comportamentali in grado di farli star meglio, mettendoli in condizione di muoversi più adeguatamente-funzionalmente nelle situazioni problematiche della loro esistenza.
Val la pena qui precisare che il “far leva sulla psiche” dei soggetti con cui si interagisce è una funzione attiva, comunemente, in molte dinamiche relazionali; in alcune di queste, viene intenzionalmente, strategicamente e professionalmente gestita in vista del conseguimento di specifici obiettivi; da quale forma di ristrettezza mentale ed emotiva si deve essere affetti per immaginare che il “far leva sulla psiche”, propria ed altrui, sia una funzione esercitabile solo da un laureato in Psicologia, solo un laureato in Psicologia può spiegarcelo.
Visto quanto finora argomentato, possiamo stupirci se nei primi testi sacri della Psicologia Umanistica, Psicoterapeuti come Rollo May (1939) e Carl Rogers (1942) parlino di Counselor e di Psicoterapeuta, di Counseling e di Psicoterapia, in modo indifferenziato?!
Come non vedere il Counseling come il precursore/anima della Psicoterapia moderna, almeno di quella che introduce e valorizza la dimensione relazionale come funzione terapeutica?
ARGOMENTAZIONE N. 10
Insomma, se è fin troppo ovvio considerare che una delle “anime” della Psicoterapia moderna sia la moderna Psicologia, visto il fatto che la Psicologia Umanistica introduce e valorizza, come cura psicoterapeutica, la relazione psicoterapeuta-paziente esattamente nei termini già proposti dal Counseling nella relazione counselor-cliente, possiamo considerare che un’altra “anima” della Psicoterapia moderna sia il Counseling?
E se il Counseling è “solo” un’anima della Psicoterapia (che si aggiunge a tante altre, che lo hanno preceduto, in primis e ad esempio la filosofia e la pedagogia), come ritenere, plausibilmente, che il Counseling debba essere un dominio esclusivo degli psicologi?!
E allora perché non anche la Filosofia e la Pedagogia?
(Oddio, non vorrei aver dato un suggerimento che alcuni psicologi potrebbero accogliere!)
Volendo stare su un profilo più “semplice”, “accontentiamoci” di riconoscere il fatto che il muoversi parallelo di Psicologia, Counseling, Psicoterapia, abbia prodotto contaminazioni tali fino a:
- definire due approcci psicoterapeutici distinti e distinguibili nel proprio affondare, uno, in una cultura e prassi di tipo medico-scientista e, l’altro, in una cultura e prassi di stampo umanistico, fondato cioè su saperi e visioni di carattere filosofico-pedagogico, che non richiede e in molti casi rifugge da competenze e formazioni psicologiche di stampo medico-positivistiche-accademiche;
- dalla Psicoterapia di stampo umanistico, il Counseling si differenzia “unicamente” per il suo essere una relazione d’aiuto specializzata nella gestione di casi che non riguardano la cura diretta di qualsivoglia forma di malattia: forse che il campo della gestione di ogni altra difficoltà del vivere non è ampio e complesso al punto tale da richiedere specifiche attenzioni e specializzazioni? Vogliamo forse affibbiare agli psicoterapeuti l’onere di occuparsi di ogni forma di disagio psichico e di ogni difficoltà legata all’esistenza e al vivere quotidiano delle persone? O forse preferiamo assegnare ogni titolo e responsabilità d’azione nei riguardi di tali materie ai soli psicologi? (confesso il disagio psichico che vivo nel formulare queste domande; magari chiedo aiuto ad uno psicologo!)
CONCLUSIONI:
Dalle 10 argomentazioni fin qui presentate, riassumo il corpo della mia tesi:
- Seppur appartenenti allo stesso universo di attività umane, Psicoterapia, Psicologia e Counseling hanno tre identità distinte: il Counseling è un’attività professionale specifica, che, per comunanza di origini filosofiche-spirituali-funzionali, fatalmente si associa a molte attività di impianto psicoterapeutico;
- il fare Counseling è cosa diversa dall’applicare, alla bisogna e nei più disparati frangenti relazionali, le abilità di counseling, anche quando le abilità di counseling siano applicate in ambito psicologico e psicoterapeutico; il Counseling è un’attività professionale specifica, esercitata da uno specifico professionista: il Counselor; aspetto fondamentale delle attività di Counseling è il far leva su specifiche abilità, il cui utilizzo valorizza l’efficacia di molteplici altre attività umane centrate sulla relazione;
- il percorso formativo IN Counseling è “cosa ben differente” dai corsi di laurea in Psicologia; per questa ragione chi possiede una laurea in Psicologia non può ritenersi in grado di esercitare adeguatamente la professione di Counselor (sarebbe come decretare, ad esempio, che un laureato in Scienze dell’Alimentazione sia anche un cuoco e, peggio ancora, che solo i laureati in Scienze dell’alimentazione possano fare il cuoco: il Counseling sta alla psicologia come la cucina, intesa come arte culinaria, sta alle scienze dell’alimentazione);
- il mondo della Psicoterapia, non quello della Psicologia, si è impossessato del Counseling, come teoria, come competenza e come percorso formativo, sviluppandone il valore, arricchendone i contenuti, le forme e le applicazioni;
- la competenza di Counseling è acquisibile, ed il percorso formativo in Counseling è percorribile, a prescindere da una precedente formazione/laurea in Psicologia o Medicina (come la storia del Counseling ha dimostrato e dimostra laddove è in corso);
- tutto questo è accaduto ed accade in tutto il mondo ed è potuto accadere anche in Italia, come hanno dimostrato quegli psicoterapeuti che, valorizzando le proprie competenze di Counseling, lo hanno, con buoni risultati, insegnato principalmente a NON laureati in Psicologia/Medicina;
- in Italia, il Counseling ha certificato, nei fatti, l’ovvia possibilità di acquisire ed esercitare competenze di tipo psicoterapeutico, nell’accezione NON sanitaria, ma salutistica, anche per chi non sia in possesso di laurea in Psicologia/Medicina (Freud docet!);
- le scuole di Psicoterapia, che si sono messe a fare la formazione IN Counseling, hanno aperto nuovi mercati del lavoro, sia per loro stesse, che hanno potuto e continuano ad avere molti più allievi, sia per i diplomati Counselor, che, rilanciando anche in Italia le funzioni originarie del Counseling, hanno aperto e dato valore, anche in Italia, ad applicazioni che psicoterapeuti e psicologi per lo più disdegnavano e, paradossalmente e sostanzialmente, continuano a disdegnare (anche se, ciò nonostante, continuano a fare la guerra a noi counselor);
- intervenendo sullo stesso “dominio”(l’esistenza umana), i saperi e le tecniche d’uso di ogni disciplina-scienza umana, si sviluppano molto per contaminazione, quindi anche il Counseling e la Psicologia sono due discipline che interscambiano saperi e si contaminano, producendo inevitabilmente zone di vicinanza/identità operativa: molto meglio, quindi, collaborare, piuttosto che farsi la guerra.
- quella di usare la Psiche come leva “terapeutica” (nella sua accezione di cura per la crescita, l’apprendimento, il benessere) è un’intuizione e una prassi consolidata nella storia della Filosofia e della Pedagogia, viene direttamente ripresa prima dal Counseling e poi dalla Psicoterapia moderna.
Intanto ribadendo che:
- L’apprendimento, l’acquisizione e lo sviluppo delle abilità di counseling sono funzione di uno specifico percorso formativo, tipico della formazione IN Counseling, anche se, spesso, lo si ritrova integrato nei programmi formativi di molte (non tutte) scuole di Psicoterapia.
- I corsi di laurea in Psicologia non prevedono attività formative idonee all’apprendimento delle abilità di counseling.
- Oltre ai counselor, anche gli psicologi che hanno seguito uno specifico ed adeguato percorso formativo IN Counseling, e gli Psicoterapeuti che si sono formati in scuole che includevano la formazione IN Counseling, sono capaci di, e quindi possono, fare Counseling (che è cosa diversa dall’applicare, alla bisogna, le abilità di counseling).
- Gli psicologi, gli psicoterapeuti e chiunque non abbia fatto una specifica formazione IN Counseling, se dice di poterlo/sapere fare o è vittima della propria ignoranza (se non della propria cattiva coscienza/stupidità) o è in malafede.
Ribadito questo, però, voglio dedicarmi ad una nuova prospettiva; lo faccio condividendo la visione del Counseling, che ho maturato in forza delle mie esperienze di formazione e di lavoro, come Counselor e formatore di Counselor.
Ai Counselor che fanno Counseling, appare evidente quanto il Counseling sia una relazione d’aiuto professionale praticata, principalmente, in forza di uno specifico, e particolare, modo di stare con se stessi, in relazione con gli altri, gestendone opportunamente le dinamiche relazionali, in particolare quelle di comunicazione; il tutto finalizzato a produrre, nell’altro, sviluppi di consapevolezza tali da migliorare significativamente le sue capacità/possibilità di affrontare le situazioni problematiche che sta vivendo.
Quanto, nella “pratica” del Counseling che questa visone contiene, siano importanti la conoscenza dell’uomo, gli stati di consapevolezza e le competenze relazionali del Counselor, è cosa fin troppo ovvia.
Quanto la “conoscenza dell’uomo”, gli “stati di consapevolezza” e le “competenze relazionali” necessarie al Counselor si siano potute formare e si possano esercitare attraverso un percorso di formazione ed il ricorso a particolari pratiche che qui denomino (per la prima volta) di “Yoga del Sentire, del Pensare, dell’Agire” è l’oggetto specifico di questa mia tesi.
La mia tesi è che il Counseling altro non sia che una relazione d’aiuto volta a migliorare gli stati di consapevolezza delle persone a cui l’aiuto è rivolto.
Gli stati di consapevolezza, a cui mi riferisco, sono determinati da quanto, per ogni accadimento col quale stiamo facendo i conti, riusciamo a renderci conto delle interazioni tra ciò che “sentiamo” (emozioni, sentimenti, sensazioni fisiche), ciò che “pensiamo” (giudizi, ragionamenti, progetti, immaginazioni) e ciò che “agiamo” (comportamenti, azioni, atteggiamenti).
Quanto più il nostro stato di consapevolezza sarà congruo ed adeguato, tanto più riusciremo ad affrontare le nostre difficoltà e a gestirle con modalità e risultati in grado di produrre benessere, per noi stessi e per il nostro ambiente, interpersonale e no.
Miglioriamo i nostri stati di consapevolezza praticando opportune e specifiche pratiche, che possiamo chiamare di “Yoga del Sentire, del Pensare, dell’Agire”.
Fare Counseling vuol dire condividere con i propri clienti queste specifiche e particolari pratiche di “Yoga del Sentire, del Pensare, dell’Agire”, acquisite in forza di una specifica e particolare esperienza formativa.
Tali pratiche di “Yoga del Sentire, del Pensare, dell’Agire” rielaborano tradizioni della Filosofia classica e moderna, occidentale ed orientale, riprendono intuizioni e prassi di tipo Pedagogico, si sviluppano in contatto con tutto il “ground culturale” umanistico, della storia dell’arte e delle scienze sociali e, in ultimo, accolgono ed utilizzano alcune tra le conoscenze messe a punto ed offerte all’umanità intera dalla Psicologia e Psicoterapia moderna.
Ma sono un insieme di pratiche di “Yoga del Sentire, del Pensare, dell’Agire” inquadrate ed inquadrabili in un “sistema operativo professionale” integrato da specifiche conoscenze e codici comportamentali distinti e distinguibili da ogni altra attività umana, anche se in contatto con molte di queste!
Pensare al mio Counseling in termini di particolare e specifica forma di “Yoga del Sentire, del Pensare, dell’Agire”, mi invita, anche per tagliare la testa ad ogni stupido conflitto ed inutile polemica, a ribattezzare il Counseling, qui in Italia, con un nome nuovo, per affermarne la diversità da quel Counseling che gli Psicologi italiani immaginano come loro esclusiva competenza, solo perché ad un certo punto della sua storia si è incrociato con la Psicoterapia, associandosene in vari modi.
Il Counseling che facciamo noi Counselor è cosa assolutamente diversa dal Counseling Psicologico che gli psicologi immaginano che sia.
Tanto vale chiamarlo in modo diverso. Tanto vale chiamarlo in modo nuovo.
La mia proposta è di chiamarlo: “YOGGING”, lo “Yoga-S.P.A.”, dove l’acronimo “S.P.A” sta per: Sentire, Pensare, Agire.
Noi ci chiameremo “YOGGER”, i professionisti dello “Yogging”, lo “Yoga-S.P.A.”, lo “Yoga del Sentire, del Pensare, dell’Agire” che sviluppa e migliora i nostri stati di consapevolezza.
Per quanto mi riconosca buone doti di pensiero creativo, non riesco ad immaginare come qualcuno potrebbe reclamare il fare e proporre un particolare tipo di “Yoga”, che consiste nella pratica di:
- un determinato modo di contattare il nostro “sentire” (modo che chiamiamo “ascolto propriocettivo”)
- un determinato modo di “pensare” (che consiste nel collegare pensiero, sentimento e azione)
- un determinato modo di “agire” (che consiste nel praticare esercitazioni di carattere simbolico-esperienziale atte a progettare nuovi e più funzionali atteggiamenti comportamentali, emotivi e di pensiero);
come un qualcosa di esclusivo appannaggio degli psicologi.
Quindi:
almeno qui in Italia, per noi Counselor è probabilmente venuta l’ora di abbandonare il Counseling ai limitati e limitanti destini di mera competenza psicologica, nei quali protervi psicologi vogliono confinarlo.
Accontentiamoli tutti.
Lasciamogli quest’osso avvelenato dalle loro aggressioni e dalla stupida guerra che ci hanno fatto e continuano a farci.
Facciamo leva sulla nostra creatività, che è una tra le nostre potenzialità più belle e di valore.
Innoviamoci e reinventiamoci.
Diventiamo “YOGGER”, i professionisti dello “YOGGING”, lo “Yoga-S.P.A.”, lo “Yoga del Sentire, del Pensare, dell’Agire”, che sviluppa e migliora i nostri stati di consapevolezza e, ancora una volta, così come è nei nostri intendimenti e nella nostra abitudine, trasformeremo un problema in un’opportunità.
Grazie a Te che hai letto fino qua e, ancor di più grazie, se diffonderai questo scritto.
Ad maiora.
Direttore didattico Scuola IN Counseling
Caro Domenico,
ho letto tutto il tuo articolo e, a parte le frecciate, accuse e burle dirette agli psicologi (a partire dall’incipit dell”abbraccio mortale”), lo trovo molto bello, utile ed interessante. Sicuramente utile per gli allievi in formazione e per quanti intendono avviarsi in questo tipo di formazione. Utile anche per chi è già counselor e che, come me, non ha mai approfondito la storia e l’evoluzione del counseling. Il mio augurio è che possa essere utile anche nel dibattito attuale su questo tema. La mia impressione, leggendo l’articolo che non riesco a leggere senza i miei filtri, è che il counseling come da te descritto e che io condivido, prevede, o almeno dovrebbe prevedere, un’etica ed un rispetto del mondo e della vita che mi sembra sempre meno presente o di sencondaria importanza quando ci addentriamo nel mondo delle professioni … perchè mi viene da dire … non si può accogliere amorevolmente, ascoltare empaticamente, osservare senza giudicare, ecc., ecc., in maniera professionale se queste qualità non le sviluppi/curi come persona, uomo/donna
Detto ciò anche a me sembra evidente che le premesse o le intenzione che stanno alla base di una qualsiasi attività condizionano inevitabilmente l’andamento ed il risultato di quell’attivtà (mi riferisco alle premesse relativamente al significato che diamo alla “cura”).
Rispetto allo Yogging la trovo una bella provocazione, o almeno io l’ho letta come provocazione. Ed in questa provocazione ci leggo (sempre con i miei filtri, ovviamente) una resa che non è arrendersi ma è lasciare andare in un senso che io trovo molto nobile … non so se è così per te, ma in fondo io penso che il tema di proteggere i consumatori dagli abusi – perorato in questa ed altre forme dagli Ordini degli psicologi – sia innanzitutto ed inevitabilmente una difesa di se stessi e secondariamente perchè si vogliono vedere le persone come dei consumatori, uomini e donne che consumano … se vedessimo/vedessero gli esseri umani con la loro umanità probabilmente non ci sarebbe più nessuno da curare, ma solo persone di cui prendersi cura!
Ma tu, ed apprezzo molto questa tua caratteristica, sei molto più pragmatico e là dove io mi arrendo, non nel senso nobile a cui mi riferivo sopra, cerchi un altro modo. Penso che ci sia bisogno di questo spirito … non penso che tutti lo debbano avere … necessariamente.
Avanti …
Paolo
p.s.; penso che almeno una parte di questo articolo, diciamo quello riferito alla storia ed allo sviluppo del counseling, con le relative conclusioni personali che ne trai e ripulito – o quanto meno posto in altro modo – dalle considerazioni sugli psicologi, potrebbe essere presentato nella rivista di counseling. Forse sono ingenuo, ma per scrivere ciò che hai scritto hai usato delle fonti, ed allora, anche se non è una ricerca, la sua scientificità è attestata da queste fonti. Potrebbe essere, e sicuramente lo è, un articolo divulgativo sul counseling. E, nel caso potesse essere accolto in questa accezione, potrebbe fungere da cavallo di troia … o forse no!
Grazie Paolo!