Farò Counseling. Sarò Counselor.
“Farò Counseling. Sarò counselor.” mi è sembrato un buon “titolo” per questo “estratto” dalle pagine di diario di Fiorella.
La scrittura di un proprio “diario di bordo” accompagna l’esperienza formativa di ogni allievo della Scuola IN Counseling Torino.
Buona lettura!
… l’incontro di oggi si apre con una presentazione dettagliata e strutturata del piano di studi relativo alla scuola di counseling, delle opportunità offerte e di tutte le attività proposte (week end, sessioni individuali, Formazione “X”, ciclo di seminari sull’ascolto, sulla comunicazione non violenta, etc).
Sento il desiderio di partecipare a ogni iniziativa, non voglio perdermi nulla.
Domenico ribadisce che per conseguire il titolo di counselor è necessario, anche, formarsi e costruirsi un bagaglio culturale di riferimento.
Per poter dare più spazio all’aspetto esperienziale la scelta didattica prevede che questi aspetti teorici siano gestiti attraverso attività in autoformazione sotto la guida di Domenico, che in aula fornisce spunti e un inquadramento teorico che dovrà essere approfondito individualmente dai singoli.
L’assunto di base che spiega questo tipo di scelta parte dal presupposto che la conoscenza teorica, da sola, non basta per diventare counselor. Bisogna sviluppare la capacità di contatto con se stessi e con gli altri, capacità che può essere sviluppata solo con l’esercizio (e di qui la scelta di prediligere l’aspetto esperienziale rispetto allo studio teorico).
Il fatto di dover autogestire lo studio teorico da un lato e dall’altro l’obiettivo di lavorare su di me, sulle mie sensazioni (e per questo darmi importanza) penso che sia un buono stimolo per crescere, per scommettere e mettermi alla prova.
E’ una responsabilità che voglio prendermi.
Durante la serata sono stati presentati diversi argomenti e presentate diverse dinamiche che caratterizzano la vita di ognuno di noi, ho un po’ di parole chiave:
· bisogni,
· potenzialità,
· creatività.
Mi frullano nella testa e ci rimarranno per un po’, in attesa di essere digerite e acquisite con una dotazione di senso e di “posto dentro di me”, nella mia realtà.
Tra i vari argomenti affrontati, mi ha colpito e mi piace molto immaginare il counselor come colui/colei che aiuta l’altro a crescere; laddove crescere significa diventare consapevoli – i 3 piani del pensare, fare e sentire lavorano sinergicamente – e superare condizioni di malessere attraverso il “gioco” di nuove esperienze, di sé e della propria “realtà”.
Mi sono proiettata nel futuro; mi sono immaginata di aiutare altre persone a risolvere un problema e stare meglio; tutto ciò dà un senso a ciò che faccio, al mio tempo e al mio lavoro stesso, a prescindere dall’aspetto remunerativo….
Non so se ho interrotto il contatto (Domenico ci dice sempre di ascoltare più che pensare), però è stato bello pensarci.
Un altro aspetto su cui mi sono soffermata è la scelta di proporre una visione delle cose che non è assoluta, partendo dall’assunto che non esiste una verità unica e assoluta e un’unica soluzione; ognuno porta la propria esperienza e la propria visione delle cose, che è parziale e potrebbe cambiare.
Emerge quindi la figura del counselor come un professionista che mette da parte lo scettro e l’arroganza di spiegarti “come si vive”, ma si pone l’obiettivo di offrirti un supporto basato sulla nuova visione delle cose che insieme, durante il counseling, si riesce a mettere a fuoco, sull’esperienza che, insieme, si riesce a ricostruire .
Sento che quanto descritto si contrappone e mi rimanda all’insoddisfazione che provo nel cercare la SOLUZIONE, la quadratura del cerchio, la formula perfetta che mi permette di identificare e risolvere ogni cosa.
So che ci starò ancora con questa associazione, ma per il momento posso dire che mi fa sentire meglio pensare che si può anche non avere una spiegazione per ogni cosa.
Durante la serata si è parlato di creatività e bisogni, di come ogni nostra potenzialità rappresenti un bisogno ed abbia, quindi, bisogno di esprimersi e di farlo in un buon modo!
Riconoscere i propri bisogni e le proprie potenzialità rappresenta un modo per realizzarsi e per farlo è necessario essere consapevoli di ciò che sentiamo, di ciò che si muove dentro di noi.
Domenico ci ha chiesto di gestire una richiesta di Edoardo, come se fossimo già counselor.
Mi sono sentita spiazzata perché non mi sentivo padrona della mia situazione: non sapevo come interagire e se quello che avevo in mente di fare poteva essere appropriato, non sapevo come rapportarmi, come proporre le mie intuizioni nel modo più utile e produttivo possibile per l’ipotetico altro (in questo caso la compagna di Edoardo).
Nel riportare questa esperienza Domenico ha segnalato un aspetto del mio atteggiamento che risulta essere teso (anche l’aspetto non verbale e la postura ne sono a conferma), ipotizzando un collegamento diretto tra la mia tensione e la mia grande paura di sbagliare, di non riuscire a fare il compitino giusto.
Ha cercato di propormi una visione opposta: provaci, non è detto che sbagliare sia sempre sbagliato, buttati, sei in un ambiente protetto.
Per apprendere, realizzarsi e crescere davvero è fondamentale mettersi in gioco, e per mettersi in gioco si deve accettare l’idea di sbagliare; mi ha colpito la riflessione per cui anche i più grandi della storia hanno sbagliato e difficilmente si riesce nelle cose al primo tentativo.
Come mi fa sentire questo?
Meglio, sollevata, più sicura e simile agli altri,con la voglia di provarci e mettermi in gioco.
Ci provo.
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