Il Counseling individuale.
Seguire il percorso di formazione IN Counseling, della Scuola IN Counseling di Torino, vuol dire, innanzitutto, lavorare alla nostra crescita personale.
Vuol dire migliorare i nostri stati di consapevolezza relativi ai nostri modi di “stare al mondo”, con noi stessi e con gli altri.
Vuol dire riuscire ad avere più chiarezza su ciò che ci succede, su ciò che proviamo e su ciò che facciamo.
Vuol dire vedere meglio ciò che succede agli altri; vedere meglio ciò che provano e ciò che fanno.
Tutta la formazione IN Counseling è crescita personale, alla quale lavoriamo, anche, in singole sessioni di Counseling individuale.
Simona ce ne parla, dal suo diario…
21.02.2012 – sessione di counseling individuale.
Arrivo a casa di Domenico molto più tranquilla rispetto alla scorsa volta, mi siedo e iniziamo a parlare dei miei impegni settimanali.
Tutto inizia dal lunedì, giorno che odio perché apre la mia settimana sempre strapiena di cose da fare.
Vivo il lunedì pensando già al venerdì (se non addirittura al fine settimana).
Non colgo il significato del vivere giorno per giorno, momento per momento, impegno per impegno, facessi così, il lunedì sarebbe semplicemente un giorno che passa per lasciare il posto ad un altro.
“A cosa mi serve fare così?”
Mi sento simile ad E…, nella sua insoddisfazione riguardo l’oggi, poiché, pur nei continui sforzi per fare delle cose e farle nel migliore dei modi, il pensiero è al futuro, all’ansia di non raggiungere mai ciò che voglio veramente.
Mentre racconto i miei impegni giornalieri a Domenico mi rendo conto che in realtà non sono così faticosi, sono attività e lavori che ho scelto io di fare.
Riconosco anche che non fare niente è una cosa che mi piace (vedi in questi giorni di festa di carnevale), ma so anche di non riuscire a stare sempre in ozio, senza niente da fare.
Insomma, faccio tante cose, voglio fare tante cose e, a volte, tutto questo mi porta a fare delle rinunce.
Per esempio, rinuncio alla chiacchierata con la mia amica perché sono troppo stanca per uscire la sera…
Quanto mi costa fare delle rinunce?
Che valore do alle cose che comunque faccio?
Trovo una tavola imbandita con 100 cose buone da mangiare, tutte non posso mangiarle, ma riconosco che io invece di dare valore a quelle che riesco a mangiare, penso a quelle a cui ho dovuto rinunciare.
Sono gli altri, il più delle volte (e per fortuna! visto che io lo faccio poco), a darmi dei rimandi positivi sulle cose che faccio, a farmi sentire una persona in gamba, di valore (apprezzo i complimenti che mi vengono fatti sul mio lavoro, il riconoscimento di quanto mi sono data da fare per arrivare a dei risultati).
Mi lamento. È una modalità preconfezionata che metto in atto da quando sono bambina.
Con i miei genitori funzionava perché loro hanno sempre cercato di accontentarmi in tutto e poi sono i miei genitori.
Ora sono cresciuta e anche se mi lamento non posso sperare di ottenere gli stessi risultati … che mi lamento a fare?
Cambiare la modalità, diventare adulta pur tenendo, nelle circostanze adeguate, la parte bambina che mi contraddistingue anch’ essa per come io sono (per esempio la lucentezza dei miei occhi quando vedo qualcosa che mi piace).
Tendo a portarmi dietro “le vecchie idee” nel processo del cambiamento, ciò che facevo da bambina oggi non mi consente più di ottenere gli stessi risultati di un tempo.
Racconto a Domenico della chiacchierata di ieri con i miei genitori, mio papà mi ha detto che da piccola ero una vera “rompipalle”, dovevo tenere l’apparecchio ai denti per 3 anni, ma dopo un anno e mezzo ho voluto toglierlo e non c’è stato modo di convincermi che quella era la cosa migliore per me, neanche la dentista (che io ricordo come una stronza) era riuscita in questo intento con la complicità dei miei, stesso discorso per la logopedia e per chissà per quante altre cose, fino alla nascita di mio fratello, quando avevo 8 anni e mezzo.
Ora mi sento migliorata, o meglio, cresciuta, ma riconosco ancora in me l’ostinazione che attuo sia in positivo quando voglio raggiungere un risultato, sia in negativo, quando mi accanisco ad esempio in un rapporto di coppia, di amicizia o in una situazione che so già non mi porterà da nessuna parte.
Domenico mi fa notare che l’ostinazione è a metà strada tra la determinazione e la fissazione.
La prima consente, con la tenacia, di raggiungere gli obbiettivi, la seconda è una forma nevrotica che mi blocca e non mi fa andare avanti..a cosa mi serve?
Eppure è una cosa che faccio, fissarmi e non riuscire ad uscire dalla situazione di impasse che si crea.
Se ne vale la pena non bisogna mollare e perseguire gli obbiettivi, altrimenti bisogna mollare la presa e mandare l’altro, le situazioni a quel paese, anche noi stessi se è il caso.
Per cominciare non devo fare grandi cose, ma iniziare con piccole soluzioni alla mia portata, per esempio svagarmi, uscire, guardare un film , leggere un libro etc.
Penso che a volte non posso permettermi di dare a vedere agli altri che sto bene, che sono entusiasta della vita.
Domenico mi fa notare che in alcune circostanze ciò non è possibile, per esempio quando siamo accanto ad una persona sofferente, ma ci sono svariate situazioni nella mia vita in cui posso permettermelo, a casa, con alcuni amici, nelle serate della Formazione X etc.
Mi viene in mente la mia collega … patisco il suo essere sempre molto seria, sembra arrabbiata, triste, rabbuiata, è ipercritica; smonta quasi sempre ogni mio entusiasmo rispetto alle sedute di psicomotricità con i bambini, trovando qualcosa che non è andato bene (che poi come si fa a dire?).
Domenico mi provoca su questo dicendo che in lei vedo parti di me, io rispondo un no secco, quasi spaventato, non mi piace essere così.
Nelle riunioni di lavoro con lei e gli altri colleghi tendo a trattenere il mio lato più bambinesco, ma non ce la faccio e alla fine esce allo scoperto il brio che mi caratterizza, non riesco a reprimere il mio essere anche di fronte a persone che sono all’opposto rispetto a me e che poi comunque sorridono delle mie battute, stanno bene (anche) grazie alla mia presenza.
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