L’anima fenomenologica ed esistenzialista del counseling
L’ANIMA FENOMENOLOGICA ed ESISTENZIALISTA del COUNSELING.
“La percezione è l’esperienza che muove le nostre esperienze e, con queste, il nostro vivere nel tempo, alias la nostra esistenza.” (Domenico Nigro)
Questo è il Capitolo 6.3 del “Manuale per la Formazione IN Counseling” che sto scrivendo e pubblicando in corso d’opera sul web, gratuitamente.
Lo faccio per promuovere il Counseling e la sua cultura.
Buona lettura/studio!
Domenico Nigro, direttore Scuola IN Counseling Lo Specchio Magico Torino.
Il counseling è un’esperienza, relazionale, di apprendimento di nuovi, diversi e migliori, modi di affrontare le difficoltà cui la vita, di volta in volta, ci sottopone.
Noi counselor guardiamo alle difficoltà dell’esistenza come dinamiche correlate alle nostre esperienze di vita, per questa ragione offriamo ai nostri clienti, nelle nostre relazioni di counseling, la possibilità di viverne di nuove, sostitutive e diverse, in grado di produrre quei cambiamenti a loro necessari per venir fuori dalle difficoltà esistenziali in cui si stanno dibattendo.
I cambiamenti cui ci riferiamo riguardano:
- innanzitutto, la percezione degli accadimenti rispetto ai quali stanno vivendo le loro difficoltà, e,
- conseguentemente, i loro modi di vivere e di gestire quegli stessi accadimenti.
Noi counselor offriamo ai nostri clienti, per il tramite delle esperienze che vivono con noi, nelle nostre relazioni di counseling, la possibilità di cambiare percezione, e quindi modi di gestione, degli accadimenti che li stanno mettendo in difficoltà.
Come gli individui percepiscano gli accadimenti, della propria esistenza, è oggetto d’interesse specifico della Fenomenologia, che è una corrente di pensiero filosofico particolarmente cara a noi counselor.
La Fenomenologia è lo studio delle manifestazioni che un accadimento può assumere, nella percezione di chi lo osserva o di chi ne è parte in causa.
Il filosofo Edmund Husserl, ai primi del ‘900, propone una sua teoria della conoscenza come processo che origina dall’esperienza e si sintetizza nell’intuizione.
L’esperienza cui si riferisce è fenomenologica: gli accadimenti che la caratterizzano sono cioè fenomeni, vale a dire funzione del punto di vista e della percezione di chi li vive.
La percezione del percipiente è la leva che estrae le caratteristiche essenziali dell’esperienza, l’essenza di ciò che viene sperimentato.
Il punto di vista di Husserl nasce dalla scuola di Brentano e viene sviluppato da filosofi come Maurice Merleau-Ponty, Jan Patočka, Hannah Arendt, Dietrich von Hildebrand, Edith Stein e Emmanuel Lévinas.
Riconoscendo il fatto che uno stesso accadimento (uno stesso oggetto) può avere sensi e significati diversi, a seconda degli individui che tale accadimento/oggetto osservano o vivono, l’approccio fenomenologico, come atteggiamento di studio/analisi/attenzione nei confronti degli accadimenti che caratterizzano l’esperienza dei nostri clienti, per noi counselor, è indispensabile.
Per “fenomenologia” intendiamo quindi:
- l’articolazione di forme, contenuti e significati, che uno stesso accadimento, e tutto ciò che possa essere oggetto di percezione, possono assumere per chi li osservi e/o vi partecipi, in qualsivoglia maniera,
- ovvero, per noi counselor, le forme, i contenuti ed i significati che un determinato accadimento/oggetto ha assunto, assume e/o potrà assumere, nella percezione e nell’esperienza dei nostri clienti.
Il counseling è una relazione d’aiuto che dà molto valore alla dimensione fenomenologica dell’esistenza.
La Fenomenologia è lo studio, l’analisi e la valorizzazione, di quello che capita a chi ha a che fare con gli accadimenti oggetto di studio, piuttosto che lo studio degli accadimenti stessi.
A noi counselor, di quello che capita a chi ha a che fare con gli accadimenti in esame, interessa, innanzitutto, ciò che degli stessi se ne fa chi vi ha a che fare.
Anche se sembra un rompicapo, questa è un’affermazione di chiaro “stampo” esistenzialistico, nella declinazione che Sartre ci propone quando ci ricorda che, per le sorti della nostra esistenza, più di quello che ci capita, conta ciò che facciamo con quello che ci capita.
Esistenzialismo e Fenomenologia sono le due gambe filosofiche sulle quali, maggiormente, noi counselor ci muoviamo.
Il modo in cui rispondiamo (o potremmo rispondere) agli accadimenti della nostra vita è un campo d’interesse privilegiato della Fenomenologia e del Esistenzialismo; quando questo è fonte di malessere, diventa campo di interesse privilegiato del Counseling, il cui scopo è il miglioramento esistenziale ed il benessere delle persone, perseguito attraverso il miglioramento della funzionalità e della qualità delle loro risposte agli accadimenti della vita.
Il modo in cui rispondiamo agli accadimenti della nostra vita dipende molto da quanto e da come la conosciamo e, insieme ad essa, conosciamo il mondo, noi stessi, gli altri.
Ogni nostra conoscenza deriva dalle nostre esperienze di apprendimento.
Noi possiamo apprendere per astrazione e/o per percezione.
Spesso usiamo le nostre capacità di astrazione per dare risposta, e per gestire, i nostri turbamenti emotivi.
Per astrazione costruiamo e apprendiamo saperi teorici.
Le nostre capacità di astrazione sono collegate alle nostre facoltà mentali d’immaginazione, riflessione logica, costruzione simbolica-metaforica, associazione-differenziazione.
Per il tramite della percezione apprendiamo e costruiamo, invece, saperi pratici, impariamo come contattare il mondo, gli altri, noi stessi.
Le nostre capacità di percezione sono collegate ai nostri sensi, il cui sano funzionamento permette il nostro vivere, indirizzando le azioni che lo rendono possibile e, variamente, soddisfacente.
Per il tramite delle nostre percezioni apprendiamo come stare e come muoverci nel mondo, nella nostra vita e in quella degli altri, in altre parole, apprendiamo come vivere.
Dall’apprendimento del “come vivere” consegue il nostro “saper vivere”.
Il nostro “saper vivere” è funzione diretta delle nostre esperienze di vita, che a loro volta dipendono dalla loro fenomenologia.
Da qui l’interesse che noi counselor rivolgiamo alla fenomenologia delle esperienze dei nostri clienti, alias alle loro percezioni delle stesse.
Noi counselor, nelle nostre relazioni di counseling:
- dapprima, accompagniamo i nostri clienti nella rivisitazione di quelle loro esperienze che loro stessi collegano alle loro difficoltà; di tali esperienze, insieme a loro, vogliamo riconoscere, sul piano degli effetti esistenziali, quali per loro sono stati gli aspetti positivi e quali quelli negativi, affinché loro stessi possano scegliere di valorizzare i primi e trovare il modo di scongiurare i secondi;
- in secondo luogo, proponiamo ai nostri clienti, creativamente, vari modi di esplorazione esperienziale di nuove, possibili, dinamiche comportamentali e di pensiero, che li orientino verso i cambiamenti necessari per il miglioramento del loro “saper vivere”; facciamo questo, e quanto espresso nel punto precedente, basandoci sulla valorizzazione dell’esperienza sensoriale dei nostri clienti, cioè delle loro sensazioni fisiche, dei loro sentimenti e delle loro emozioni.
L’interesse per la Fenomenologia delle esperienze, vissute e/o vivibili, dai nostri clienti, relega ad un piano secondario le teorie che le vogliono spiegare.
Noi counselor, siamo molto più interessati alla Fenomenologia dell’esistenza piuttosto che alla sua Epistemologia, cioè allo studio delle teorie che la spiegano.
Epistemologia: l’analisi e lo studio delle teorie che riguardano e accompagnano il sapere umano.
Fenomenologia: lo studio delle manifestazioni che un accadimento può assumere, nella percezione di chi lo osserva o di chi ne è parte in causa.
Lavoriamo, con i nostri clienti, sulla consapevolezza delle loro esperienze, circa i vissuti rispetto ai quali ci chiedono aiuto, rivisitandole, in vario modo, nelle nostre relazioni di counseling.
In questo modo offriamo ai nostri clienti la possibilità di apprendere nuovi e più funzionali modi di stare con, e gestire, quei vissuti rispetto ai quali ci chiedono aiuto.
Ricordiamo che l’ apprendimento è un tema centrale del nostro fare counseling (vedi cap. 5.1).
Apprendere è conoscere il mondo, la vita, l’esistenza, noi stessi e gli altri.
Ci sono due modi di conoscere:
- attraverso concetti e teorie
- attraverso l’esperienza
Rispondiamo alla vita in funzione di come la conosciamo e di cosa, di questa, conosciamo.
E rispondiamo alla vita secondo coscienza, vale a dire guidati da istanze emotivo/sentimentali mosse dai nostri sensi, siano questi d’ordine fisiologico o etico/morale/culturale.
Non c’è, quindi, solo la conoscenza della vita a muoverci nella nostra wesistenza, c’è, soprattutto, la coscienza che della nostra vita abbiamo; ovvero, e meglio: la coscienza è parte integrante della conoscenza.
Senza coscienza non c’è conoscenza.
Conoscere vuol dire scoprire l’esistenza delle cose e degli esseri che popolano la vita e il mondo, vuol dire apprendere il loro senso e il loro funzionamento, vuol dire imparare come rapportarsi con tali cose ed esseri, affinché la loro e la nostra vita possa essere vissuta all’insegna del benessere e della felicità.
C’è una via della conoscenza che passa attraverso le tante declinazioni del “Pensare”.
- Conosciamo processando pensieri, tra di loro collegati da relazioni di tipo logico-conseguenziale, di deduzione/induzione, di causa-effetto, d’immaginazione, di associazione, di analisi.
- Conosciamo facendo ricerca, ispezionando, esplorando, confrontando.
- Attraverso i nostri processi mentali costruiamo teorie.
E c’è una via della conoscenza che passa attraverso le tante declinazioni sensoriali/sentimentali del “Sentire”.
Dal nostro modo di integrare ciò che “Pensiamo” e ciò che “Sentiamo”, sintetizzandolo in ciò che “Facciamo”, dipende il valore delle nostre esperienze e la loro possibilità di valere in termini di apprendimento.
Vale a dire, cioè, che conosciamo per il tramite delle esperienze che viviamo.
Le istanze che muovono i nostri processi mentali/sentimentali/comportamentali, che determinano il valore delle nostre esperienze, sono i nostri bisogni, includendo in essi potenzialità quali l’espressione artistica, l’operosità creativa, l’esplorazione curiosa, la ricerca del senso delle cose e della vita, l’autorealizzazione.
Nasciamo che non sappiamo vivere, ma dotati della capacità di imparare a farlo.
Imparare vuol dire apprendere, cioè prendere e fare propria una conoscenza, una competenza, una capacità che prima non avevamo e non sapevamo che ci sarebbe servita a vivere meglio.
Conoscendo la vita, impariamo a vivere.
Imparando a vivere, conosciamo la vita.
Conoscendo il mondo, impariamo a starci e ad abitarlo.
Conoscendo il mondo e la vita, facciamo nostro, cioè apprendiamo da questi, ciò che ci serve per migliorare la nostra vita.
Apprendiamo conoscendo la vita e il mondo.
Come?
Facendone esperienza.
Facciamo esperienza attraverso le nostre percezioni, che dipendono dall’azione integrata delle nostre funzioni emotive, sensoriali, motorie e mentali.
Dal modo in cui integriamo (più o meno coscientemente) tali funzioni dipendono le nostre esperienze.
Nella nostra esistenza, le nostre facoltà percettive rendono possibili le nostre esperienze, che, a loro volta, sviluppano o limitano le nostre facoltà percettive.
Nella nostra esistenza, dunque, percepire e fare esperienza, fare esperienza e percepire, dipendono da funzioni e attività interdipendenti: le nostre esperienze dipendono dalle nostre percezioni, che dipendono dalle nostre esperienze!
Le nostre percezioni sono le leve delle nostre esperienze e le nostre esperienze sono le leve delle nostre percezioni.
Percezione ed esperienza sono le leve della conoscenza e dell’apprendimento.
La percezione dà orientamento e senso al nostro vivere, nel mondo e nel tempo.
Tra gli animali, e nel genere umano (bambini e uomini primitivi), fino a quando le funzioni mentali del pensare/riflettere/rielaborare non si sviluppano, la percezione si svolge per il tramite di sensazioni ed emozioni, che orientano i comportamenti e li rendono ripetitivi.
Con l’attivazione, e lo sviluppo, di una propria mente pensante, l’essere umano diventa capace di costruire mondi immaginari e di individuare-teorizzare rapporti di causa-effetto, tra le cose, che:
- utilizza per spiegarsi i contenuti della propria esistenza e dei fenomeni che percepisce,
- rendono possibili/credibili i mondi immaginari che costruisce.
L’apprendere si articola, così, su due piani esistenziali, tra loro stessi variamente incrociati: uno pratico-esperienziale e l’altro teorico-immaginario.
Allo stato attuale dello sviluppo umano, le funzioni percettive che presiedono alle possibilità di apprendimento dipendono dal modo in cui, nella vita di ciascun individuo, i due piani esistenziali, o pratico-esperienziale e teorico-immaginario, si intersecano, si contaminano, si integrano o si scontrano.
Dalla percezione deriva il “fenomeno”.
“Fenomeno” è ciò che si rivela all’individuo per il tramite dell’azione incrociata dei propri sensi e delle proprie funzioni mentali.
Per noi counselor, dato il livello di sviluppo raggiunto dalla soggettività umana, che ha irriducibilmente integrato le due dimensioni percettive, sensoriale e mentale, il tentativo di individuare ciò che attiene prioritariamente all’una piuttosto che all’altra dimensione percettiva, non risponde alla credenza che le due dimensioni possano avere vita autonoma e indipendente, risponde all’idea che si possano migliorare i nostri stati di consapevolezza riconoscendone analiticamente i contenuti propri dell’una o dell’altra dimensione percettiva; ben sapendo che un cambiamento in una delle due dimensioni ne promuove un altro nell’altra e, in definitiva, nell’impianto percettivo complessivo.
Per noi counselor, i tentativi di separazione teorica delle declinazioni fenomenologiche, di un qualsiasi oggetto/soggetto/accadimento percepito da un nostro cliente, in funzione di una percezione dipendente “solo” dai suoi sensi, intesi come sue sensazioni fisiche ed emozioni o “solo” dalle “significazioni” da lui stesso mentalmente stabilite, può valere solo come esercizio di esplorazione analitica/esperienziale, dell’una e dell’altra, sua, percezione, volta ad aiutarlo a sviluppare suoi migliori stati di consapevolezza personale.
A tale “esercizio” noi counselor sottoponiamo costantemente le nostre percezioni, durante le nostre relazioni di counseling, facendo la spola tra i nostri pensieri e i nostri sentimenti.
Questo ci aiuta, e aiuta i nostri clienti, a:
- disaggregare, dapprima, pensieri e sentimenti, da un modo di stare insieme in cui gli uni e gli altri si contaminano disfunzionalmente, e a nostra insaputa,
- e, successivamente, farli interagire funzionalmente, perché possano orientarci verso comportamenti più consoni al nostro benessere.
Ci aiuta molto il trovare intrigante districare l’intrigo delle due dimensioni percettive del pensare e del sentire, ben sapendo quanto queste siano inesorabilmente intricate e quanto il disaggregarle completamente possa essere impossibile!
Ecco perché ogni tentativo di separazione del sentire e del pensare, come forma percettiva, va visto e utilizzato “semplicemente” in chiave di pratica volta al miglioramento dei nostri stati di consapevolezza e non come corrispondenza di qualsivoglia forma di ipostatizzazione della separatezza dell’una dall’altra dimensione.
In ogni modo,
ci rivolgiamo alle singole parti componenti l’impianto percettivo
- [cosa percepiamo sensorialmente? Cosa facciamo, e come lo facciamo, per avere tali percezioni? Quali pensieri riconosciamo essere associati a tali percezioni? Che valenze e funzioni hanno queste nostre percezioni, viste, analiticamente, nei singoli piani del sentire e del pensare?]
per averne la migliore coscienza/conoscenza possibile e scoprirne le co-interazioni:
- Come stanno insieme le componenti sensoriali-emotive, d’azione e di pensiero, che strutturano le nostre percezioni?
- Dove e come possiamo intervenire per produrre i cambiamenti di percezione necessari per farci agire secondo modalità comportamentali capaci di farci stare meglio?!
Insomma, vediamo la percezione come un circuito di sensazioni-emozioni-azioni-significazioni, interagenti e correlate.
Ogni cambiamento di percezione origina da un qualche cambiamento intervenuto in un qualche punto di tale circuito.
La correlazione è un legame tra le cose (quando c’è una, c’è anche l’altra) che non inscrive, necessariamente, rapporti diretti di causa-effetto tra le cose stesse.
Per ogni accadimento, la correlazione dei fenomeni che lo costituiscono è il riscontro della compresenza, ricorrente, di quegli stessi fenomeni, nel suo riaccadere.
Esempio: se voglio cambiare, nella mia esistenza, la ripetitività di un certo accadimento (esempio: non porto a termine i miei progetti), rivolgermi all’esame della fenomenologia dei miei pensieri-sentimenti-azioni correlata al fatto che non porto a termine i miei progetti, può permettermi di individuare cosa cambiare in uno o più dei fenomeni presi in esame.
Realizzare tali cambiamenti produrrà, in un modo o in un altro, un cambiamento anche nella ripetitività dell’accadimento che voglio cambiare.
Riuscire a individuare cosa cambiare, per cambiare la fenomenologia di un certo accadimento, dipende dalla scoperta di nuovi modi di percepirlo.
Il cambiamento in grado di cambiare un accadimento, trasformandolo in una nuova esperienza, è un processo che parte da un cambiamento della percezione di quello stesso accadimento.
Per questo ci concentriamo, alternativamente, sulle singole funzioni da cui dipende la nostra percezione (cosa sentiamo e come? cosa facciamo e come? cosa pensiamo e come?), per imparare a conoscerne i singoli contenuti e come si collegano tra loro.
Nessuno si accorge di tutto ciò che c’è, fuori e dentro di sé, né, tanto meno, lo può percepire.
Il nostro percepire e accorgerci delle cose dipende dalle nostre predisposizioni individuali; esempio: se sono interessato, per qualsiasi ragione, ad una persona, sarò “predisposto” a riconoscerla in mezzo ad una folla.
Cos’è una predisposizione individuale?
Per comprenderlo, ci rivolgiamo alla sua composizione!
Una predisposizione individuale è composta:
- Dai bisogni dell’individuo in questione.
- Dai suoi interessi.
- Dalla sua educazione e dal suo rapporto con l’ambiente, di nascita e/o di sviluppo.
- Dai suoi valori morali-culturali e dai suoi pregiudizi.
- Dai suoi stati d’animo, dalle sue emozioni e dai suoi sentimenti.
- Dai suoi atteggiamenti mentali/ comportamentali e dai suoi modi di pensare e di agire.
Riconoscendo, di un individuo, i suoi bisogni, interessi, esperienze educative, appartenenze culturali/sociali, modi di percepire il mondo e a questo rapportarsi, gli elementi che compongono la sua soggettività, possiamo allora dire che le predisposizioni individuali siano riflessi della soggettività degli individui, nella contingenza ambientale e temporale in essere.
Alla base di ogni percezione risiede, dunque, la soggettività del percipiente, mossa dalle sue intenzioni:
- Cosa vuole?
- Da cosa è attratto?
- Cosa rifugge ed evita?
Riprendendo l’esempio appena fatto, se sono interessato a una persona, sarò “predisposto” a riconoscerla, cioè avrò una soggettività atta a riconoscerla, sia incontrandola per caso e sia, cosa per noi più interessante, se ne avrò l’intenzione, in mezzo a una folla.
In un caso come nell’altro, questo mio riconoscimento sarà l’esito della mia percezione.
È la percezione, quindi, che trasforma un accadimento in fenomeno.
Dalla fenomenologia degli accadimenti da noi vissuti deriva il valore delle nostre esperienze, dalle quali impariamo come vivere e dalle quali dipende la qualità della nostra vita.
Per migliorare le nostre esperienze, e così vivere meglio, ci interessiamo alla fenomenologia degli accadimenti che le hanno intessute, per scoprire dove potremmo intervenire per ri-viverli meglio, quando e se dovessero ricapitarci.
Tenendo ben conto che la soggettività del percipiente è alla base della percezione del fenomeno; tenendo ben conto che una soggettività è composta da elementi che possono variare, nel tempo, in funzione del variare delle esperienze soggettive; teniamo ben in conto del fatto che percepire sia, dunque, un’attività mutabile, collegata alla soggettività, contingente, e alle intenzioni, in essere, del percipiente.
Per noi counselor, il valore che Brentano, la Fenomenologia e la Psicologia della Gestalt assegnano all’intenzione del percipiente, nel determinare forme, contenuti ed esiti della percezione, e quindi la fenomenologia della sua esperienza, si aggancia a quello della soggettività da cui tale intenzione prende le mosse, cioè: da una stessa intenzione possono scaturire percezioni diverse, quando diversa è la soggettività di chi intende!
Insomma, percepiamo sì in base a delle intenzioni, ma i modi in cui queste intenzioni si declinano e diventano percezioni, dipendono dalla nostra soggettività.
Così come il miglioramento del nostro modo di stare al mondo avviene in forza delle esperienze di apprendimento che viviamo, anche le difficoltà che incontriamo, nel nostro stare al mondo, sono parte integrante di specifici vissuti esperienziali, sui quali noi counselor rivolgiamo la nostra attenzione.
Noi counselor siamo interessati all’intera esperienza di vita dei nostri clienti, alias alla loro esistenza, con particolare riguardo alle configurazioni emotive, culturali e comportamentali, che di quella stessa esistenza mettono in luce nelle nostre relazioni di counseling.
La relazione di counseling, per i nostri clienti, è lo scenario in cui esplorare nuove, proprie, possibili esperienze esistenziali, che permetteranno loro di aprirsi a nuove percezioni dei propri vissuti.
Per questa ragione noi counselor preferiamo studiare la Fenomenologia degli accadimenti, piuttosto che le teorie che ci spiegano il loro accadere.
In una relazione di counseling, l’attenzione del counselor alla fenomenologia degli accadimenti, che nella stessa assumono forma e valore, si rivolge, in particolar modo, alla narrazione che, degli accadimenti stessi, il cliente propone.
Come raccontiamo, e ci raccontiamo, i nostri e gli altrui vissuti e gli accadimenti che li hanno contraddistinti, ne sintetizza il valore fenomenologico, che hanno, e hanno avuto, per noi che li raccontiamo; così facendo influenziamo le percezioni di chi ci ascolta.
Il racconto, la narrazione delle “cose”, è sempre una ri-costruzione delle stesse, fenomeno esso stesso in grado di costruire nuovi fenomeni e nuove, collegate, esperienze.
Per questo, il nostro fare counseling è così attento alle narrazioni, sia quelle del cliente, sia quelle del counselor.
Narrare è una forma di comunicazione. Alla comunicazione è dedicata un’intera Parte di questo manuale, ma ciò su cui, qui, vogliamo soffermarci è il valore della comunicazione come atto sociale, che richiede interazione-comunione (comunicazione = comunic-azione = azione in comune!) per diventare esperienza.
La relazione di counseling funziona quando diventa esperienza, dalla quale il cliente apprende nuovi e più funzionali modi di stare con, e affrontare, i propri problemi.
Per questo il counselor partecipa alle narrazioni del cliente: per farle diventare esperienza.
Lo fa empatizzando non solo con il cliente, rispetto a quanto riporta dei propri vissuti, ma anche con ogni singolo protagonista delle storie che il cliente narra.
Per empatizzare, con il cliente e con tutti i protagonisti dei suoi racconti, il counselor gestisce un’attività di continua identificazione e disidentificazione, immaginaria, con ciascuno di questi, man mano che nella sua narrazione ciascuno di questi entra in scena.
Per un counselor, saper comunicare al cliente l’esperienza che, così facendo, vive, è uno degli atti relazionali più qualificanti del proprio saper far counseling.
In questa specifica attività risiede una tra le più importanti differenziazioni tra il counseling e la psicoterapia: il counselor partecipa più attivamente nella relazione, di quanto faccia uno psicoterapeuta; gestendo opportunamente quando lasciare spazio al cliente e quando occuparlo, in funzione degli sviluppi processuali della relazione stessa di counseling.
La qualità della partecipazione attiva del counselor è cosa diversa da quella che uno psicoterapeuta impara nella propria formazione; per questa ragione, spesso, le scuole di counseling dirette da psicoterapeuti, più che proporre veri e propri insegnamenti di counseling, propongono insegnamenti di psicoterapia, che non essendo propri del counseling, dello stesso non possono che delineare una qualità di serie B.
Per questo, per noi counselor, sarebbe meglio se le scuole di counseling diventassero “cosa nostra”.
Psicologi e psicoterapeuti potrebbero parteciparvi, esclusivamente, per specifiche e particolari docenze, utili ad arricchire le conoscenze di noi counselor.
Ugualmente dovrebbe essere per filosofi, sociologi, antropologi, storici, letterati e artisti vari.
Il saper fare counseling è una competenza pratica i cui riferimenti teorico-culturali affondano le proprie radici nella Maieutica di Socrate e ricevono sostanza dalla Fenomenologia e dall’Esistenzialismo.
Di quest’ultima corrente filosofica, soprattutto dalle declinazioni che offrirono, prima Martin Heiddeger, negli anni 30, poi J.P. Sartre, nel secondo dopoguerra, il counseling assume la visione dell’ “essere umano” come stato dinamico, in continuo divenire, perché funzione delle circostanze date, irriducibile ad un’essenza classificabile definitivamente come condizione-stato ipostatizzabile, da individuare, raggiungere e realizzare.
Se l’Essere è uno stato che cambia nel tempo, l’Esistere è la condizione dell’Essere nel tempo.
Ogni Essere Umano muta nel tempo, fisiologicamente, psicologicamente, intellettualmente, funzionalmente.
Da un lato, ogni Essere Umano partecipa ai cambiamenti sociali, culturali, ambientali, propri dello scorrere del tempo, nel corso della propria esistenza individuale e, di tali cambiamenti, diventa espressione.
Dall’altro, l’accento posto sull’Esistere, cioè sull’Essere nel tempo, valorizza dell’Essere il suo Divenire, la sua qualità di processo, che, nel caso di ogni Essere Umano è determinato dalle scelte che lo stesso compie e, quindi, in ultima istanza, da come amministra e gestisce la propria vita.
Il modo in cui ogni essere umano amministra la propria vita dipende dallo sviluppo delle proprie capacità di gestione responsabile della stessa.
A tal bisogna, rivolgersi al counseling è una tra le esperienze oggi possibili di maggior valore.
In una relazione di counseling quello che accade al cliente è il fare esperienza delle proprie possibilità di cambiamento, rispetto alla percezione degli accadimenti che lo stanno mettendo in crisi e alle proprie possibilità di gestione degli stessi.
La relazione di counseling è una leva di sviluppo e crescita personale centrata sulla sperimentazione, sensoriale, immaginaria, simbolica, di nuove possibilità di stare con, e di gestire, le difficoltà che si stanno vivendo.
Queste nuove possibilità sono scoperte in forza di un approccio che parte dalla valorizzazione del sentire: come si sente il cliente nella situazione di cui ci parla? Come si sentono tutti gli altri che ne fanno parte? Come si sente il cliente nel confrontarsi con noi su quello che gli sta capitando? Come si sente quando quello che gli sta capitando é rivisitato esperienzialmente in scenari simbolicamente e/o sensorialmente ricostruiti all’interno della relazione di counseling?
L’ottica del counseling è fenomenologica: il counselor gestisce la relazione di counseling come scenario capace di produrre, dell’esperienza che sta mettendo in crisi il proprio cliente, una diversa fenomenologia, cui il cliente stesso saprà dare migliori risposte.
La diversa fenomenologia dell’esperienza che il cliente arriva a vivere nella relazione di counseling, rispetto a ciò che lo sta mettendo in crisi, è basata, principalmente, sul valore sentimentale delle proprie, relative, percezioni: da uno stato d’animo variamente contrassegnato da un arco di emozioni (paura, rabbia) e sentimenti (frustrazione, tristezza, rassegnazione, ecc.) la cui somma, invariabilmente, configura un qualche stato di sofferenza, il cliente passa ad uno stato d’animo variamente riconoscibile in termini di benessere, sostenuto da sentimenti quali la fiducia, la speranza, una certa sicurezza di sé, ecc.
Per questo diciamo che il “Counseling è promozione del benessere”; quel benessere che dà la forza necessaria alle persone per uscire da quello che sta loro capitando, quando questo le sta facendo stare male.
Rivolgendoci a un counselor, facendo counseling, ci apriamo alla possibilità di passare da una condizione esistenziale contrassegnata da un “sentire sofferente” ad una condizione caratterizzata dal “piacere di sentire”.
Sofferenza e piacere sono parametri fondamentali dell’Esistere, muovono ed orientano i pensieri e i comportamenti degli individui, determinando la fenomenologia delle loro esperienze.
Sofferenza e piacere segnano i confini delle sensazioni umane.
Aiutare i propri clienti a riconoscerne le molteplici sfumature e i relativi collegamenti, sia ai loro atteggiamenti mentali e comportamentali, sia a quelli di chi partecipa alle loro traversie, è uno dei compiti fondamentali del counselor fenomenologico-esistenzialista.
Se sei interessato al counseling, se ne vuoi fare esperienza, se vuoi diventare un counselor, se già lo sei e vuoi aggiornamento e/o supervisione,
CONTATTAMI, Domenico Nigro, direttore Scuola IN Counseling Lo Specchio magico Toino.
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