Maschio, Femmina e Counseling.

MASCHIO e FEMMINA. COUNSELING, IDENTITA’ SESSUALE E APPARTENENZA DI GENERE.
Lo sguardo e la percezione di un counselor.

CAPITOLO 7.6
“COUNSELING MANUALE DI ISTRUZIONE & FORMAZIONE”

Cos’ha da sapere un counselor in materia d’identità sessuale e appartenenza di genere?

E, soprattutto, cosa abbiamo da sapere noi tutti, per non cadere in stupidi luoghi comuni e per non contribuire a sostenere credenze limitanti?

Innanzitutto, che essere maschio oppure femmina, nella storia del genere umano, ha sempre comportato differenze importanti.

Se, da un punto di vista biologico/fisiologico, Maschio e Femmina sono due strutture fisiche naturali, il cui funzionamento, nella loro interazione, serve a garantire la riproduzione e la conservazione della specie, da un punto di vista culturale[1] identità Maschile e Femminile sono due strutture di valori, idee, sentimenti, norme e atteggiamenti comportamentali e mentali che agiscono da colonne portanti dello “status quo” politico-sociale esistente, funzionalmente preposte alla sua riproduzione e conservazione.

Prima di addentrarci su qualsiasi analisi riguardante il tema in oggetto, voglio richiamare l’attenzione sul fatto che, a differenza di altri professionisti, noi counselor non pensiamo di risolvere i problemi dei nostri clienti individuando cosa c’è che non va in loro e/o in che modo e dove i loro comportamenti non siano conformi a modelli di riferimento comportamentali considerati “scientificamente” giusti  e funzionalmente adeguati al loro benessere, così da prescrivere loro il da farsi per conformarsi a quei modelli e risolvere, per questa via, i loro problemi.

Noi counselor “stiamo” con i nostri clienti condividendone emotivamente le difficoltà.

Questo nostro “stare” con i nostri clienti aiuta, noi e loro, da un lato, a riconoscere cosa li fa star male e in che modo loro stessi sostengano le dinamiche esistenziali (stati d’animo, pensieri, comportamenti personali e socio-relazionali) che producono la loro sofferenza, da un altro lato, aiuta, noi e i nostri clienti, a ricercare e scoprire cosa e come fare per porre  rimedio al loro malessere.

Anche in materia d’identità e appartenenza di genere sessuale, quindi, noi counselor, più che arrivare a definire, inequivocabilmente, forme e contenuti dell’una e dell’altra (così da avere un modello ideale di riferimento da proporre ai nostri clienti), siamo interessati a rilevare gli effetti, nell’esistenza dei nostri clienti, dei loro particolari modi di vivere la propria identità sessuale, interiormente, nella relazione con gli altri e con l’intero proprio ambiente.

Per aiutare i nostri clienti a meglio riconoscere le proprie migliori possibilità di vivere i propri modi di essere/sentirsi maschio, femmina o qualsiasi altra declinazione di genere sessuale (non dimentichiamoci che viviamo in un mondo e in un tempo in cui si stanno proponendo, con forza, nuove soggettività, riguardanti l’appartenenza di genere sessuale), abbiamo bisogno di uno sfondo di conoscenze su cui appoggiarci.

Il piano biologico/fisiologico.

Come già affermato, da un punto di vista biologico/fisiologico, Maschio e Femmina sono due strutture fisiche naturali, il cui funzionamento, nella loro interazione, serve a garantire la riproduzione e la conservazione della specie.

Tenendo ben presente che qui ci rivolgiamo a uno specifico “genere” di maschio e femmina, quello umano, e che, quindi, più precisamente, ci ritroviamo a parlare di uomini e donne, e tenendo ben presente dunque che, per quello che ci riguarda, ogni identità e appartenenza di genere maschile/femminile, associata ad un uomo o ad una donna, rientra sempre in un’appartenenza di genere superiore, che è l’appartenenza al genere umano, innanzitutto, cominciamo con il riconoscere che essere uomo o donna, maschio o femmina, nella sua naturalezza biologica/fisiologica, dipende dall’avere sviluppato organi genitali, caratteri fisici e funzioni sessuali di un tipo piuttosto che di un altro, ma biologicamente e funzionalmente interdipendenti.

L’essere uomo o donna, innanzitutto, è un’attribuzione di tipo sessuale, collegata all’avere organi genitali e caratteri fisici sessualmente distinguibili, di un tipo piuttosto che dell’altro.

I caratteri fisici, sessuali, si distinguono in primari e secondari.

Per gli uomini, quelli primari sono le gonadi, cioè i testicoli; per le donne sono le ovaie.

Li consideriamo caratteri sessuali primari perché sono preposti alla generazione di cellule riproduttive e alla maggior secrezione di ormoni caratterizzanti qualità tipiche di un’identità sessuale piuttosto che dell’altra (esempio: testosterone nell’uomo, progesterone nelle donne).

Consideriamo caratteri sessuali secondari gli organi genitali-riproduttivi accessori (pene, vagina, utero, ecc.) e le varie differenze esteriori, somatiche e di struttura fisica, che caratterizzano uomini e donne (differenze determinate principalmente dalla maggiore quantità di ormoni sessuali organicamente prodotte in un genere piuttosto che nell’altro).

Il sesso di una persona, ha basi genetiche, ma il suo differenziarsi in identità sessuale, muta in funzione di molti fattori, uno di questi riguarda i cicli di vita, con le associate differenti quantità di produzioni ormonali (i caratteri sessuali secondari sono sostanzialmente indefiniti nell’età infantile, si differenziano nell’età adulta, post-puberale, ritornano per molti versi indifferenziati nella vecchiaia).

I caratteri sessuali extragenitali sono visibilmente differenziati nell’età adulta, fase della vita caratterizzata da una produzione più marcata di ormoni di tipo androgino, negli uomini, e di tipo estrogeno, nelle donne (sia uomini, sia donne, producono entrambi le diverse varietà di ormoni androgeni ed estrogeni, ma in proporzioni decisamente differenti).

Insomma, per ciascun individuo della specie umana, lo sviluppo delle differenziazioni di carattere sessuale dipende sia da fattori genetici (riguardanti la struttura cromosomica della cellula che si forma all’atto della fecondazione), sia dalla propria particolare produzione ormonale (e di altre sostanze organiche, bio-chimiche) di tipo mascolinizzante piuttosto che femminilizzante.

I fattori genetici stabiliscono la tipologia sessuale, maschio-femmina; la produzione ormonale e di altre sostanze bio-chimiche determinano lo sviluppo dei caratteri sessuali secondari (struttura corporea, peso, pelosità, rapporto masse grasse/magre, timbro vocale, ecc.).

L’azione degli ormoni sessuali è di tipo specifico (mascolinizzante o femminilizzante), ma, per quanto sia indiscutibile (statisticamente) la prevalenza di ormoni mascolinizzanti negli uomini e femminilizzanti nelle donne, non è data una dipendenza fissa (può accadere che in un uomo prevalga la produzione di ormoni femminilizzanti e viceversa, che in una donna prevalga la produzione di ormoni mascolinizzanti, oltre al fatto che, sulla cosa, è possibile intervenire farmacologicamente).

Da un punto di vista naturale, si potrebbe dunque tagliar corto e dire che l’identità sessuale, di uomini e donne, sia determinata da fattori genetici, cui segue un naturale sviluppo fisico, rispondente alla maggior produzione di ormoni mascolinizzanti o femminilizzanti, secondo l’appartenenza di genere sessuale, geneticamente determinata.

Il genere umano, però, non vive in “natura”.

La dimensione naturale/sociale/culturale.

Cominciamo con il richiamare l’attenzione di chi legge sul fatto che stiamo analizzando questioni associate all’essere uomini e donne, cioè all’appartenere a un “genere”, quello umano, la cui “natura” è inestricabilmente connessa alle proprie dinamiche culturali.

Ricordiamo, inoltre, che il nostro principale interesse non è quello di arrivare a dare risposte definitive a cosa sia un’identità sessuale e/o un’appartenenza di genere; il nostro principale interesse, da counselor, è rivolto a cosa, le identificazioni di genere sessuale, possano rappresentare nell’esistenza delle persone e come, le stesse persone, possano meglio farvi fronte, quando queste identificazioni dovessero produrre un qualsiasi stato di malessere personale e, perché no, sociale.

E allora riprendiamo il nostro argomentare tenendo ben presente che noi tutti, uomini e donne, non viviamo in “natura”, o meglio, viviamo in una “natura” variamente contaminata, riprodotta, rielaborata e riorganizzata, dalle nostre attività e dallo stesso nostro modo di viverla.

La tal cosa rimanda a varie, fondamentali, questioni, che riguardano la relazione individuo-ambiente.

L’ambiente è un campo contrassegnato da mille elementi e dinamiche strutturali, che possiamo distinguere in due grandi dimensioni: quella naturale, fatta da tutto ciò che nell’ambiente accadrebbe in assenza del genere umano, e quella naturale/sociale/culturale fatta da tutto ciò che in esso accade, o potrebbe accadere, proprio perché vi partecipa l’uomo (distinzione assolutamente fittizia, perché varrebbe solo a condizione di considerare l’esistenza del genere umano come un qualcosa di NON naturale!).

Per ogni “individuo”, di qualsiasi specie esistente in natura, le caratterizzazioni della propria esistenza dipendono dalla relazione con l’ambiente; tale cosa è dimostrata in vari modi; un esempio è quello delle caratteristiche “naturali” differenti in individui di una stessa specie, ma viventi in ambienti storico-geografici diversi, caratterizzati da differenti condizioni ambientali, naturali.

Un aspetto importante, che caratterizza l’esistenza umana, è che, in tutti gli ambienti in cui essa si è sviluppata, ha prodotto mutamenti a carico dell’ambiente stesso, non solo nei suoi versanti culturali, anche in quelli naturali.

Tali cambiamenti, ovviamente, hanno a loro volta generato trasformazioni nel genere umano, riguardanti non solo le sue declinazioni di stampo culturale, anche quelle riguardanti le proprie funzioni biologiche/fisiologiche.

Insomma, nella storia umana, gli intrecci e le reciproche influenze adattative tra l’ambiente e l’uomo sono una dinamica continua, leva di continui cambiamenti.

Volendone disegnare una “linea”, possiamo rilevare che a importanti cambiamenti culturali (la dimensione“culturale” riguarda tutto ciò che, per le proprie utilità personali e sociali, l’uomo si inventa e produce), operati nel lungo periodo dall’uomo, nell’uomo stesso  ritroviamo mutazioni “naturali” di adattamento alle nuove condizioni ambientali, da lui stesso prodotte.

Tra le più rilevanti “mutazioni” di adattamento naturale alle diverse condizioni ambientali, da parte del genere umano, troviamo i modi di vivere l’identità e l’appartenenza di genere sessuale.

Tale cosa è, forse, una tra le più chiare dimostrazioni di quanto la dimensione culturale dell’esistenza umana sia integrata a quella naturale, al punto da legittimare l’idea di poter considerare gli sviluppi culturali umani essi stessi come una fra le tante funzioni proprie della natura e, quindi, ogni cambiamento di chiara derivazione culturale esso stesso come un cambiamento “naturale”.

Facciamo un esempio.

Cosa c’è di più naturale dell’olfatto e delle sensazioni fisiche (di gusto-disgusto) collegate agli odori percepiti?

Eppure, le sensazioni fisiche collegate alla percezione di determinati odori variano e cambiano secondo i contesti culturali, storico-sociali, in cui quegli stessi odori vengono percepiti (a te che leggi il compito di pensare a degli esempi!).

Il rapporto percezione / cultura umana é un’esperienza primordiale nella vita di ogni essere umano, perché insorge con essa.

Ogni essere umano nasce in una “unità familiare”, che ha un proprio sistema percettivo, culturalmente definito e socialmente condiviso.

La “familiarità” di una percezione è la “struttura ambientale” che rende socialmente definiti i “sensi” (nella doppia accezione si significati e sensazioni) di quella percezione.

Se a qualcuno, però, quei sensi socialmente definiti non dovessero piacere, potrebbe far qualcosa per cambiarli? Come?

Intervenendo sull’ambiente, per modificarlo a proprio favore!

Cosa che, nel lungo periodo, si rifletterebbe sullo stesso uomo, producendone collegati cambiamenti, e, su questo passo, a noi non resta che riconoscere che il cambiamento è un processo che include sia l’uomo, sia l’ambiente, integrando dimensione culturale e naturale fino a renderle indistinguibili.

Natura e cultura, nell’esistenza umana, si muovono quindi in una relazione dai confini sostanzialmente inestricabili.

Facciamo un altro esempio.

Sappiamo dagli studi antropologici che le differenze morfologiche e di struttura corporea, tra i sessi, sono correlate alle caratteristiche ambientali, naturali, e al modo in cui il genere umano vi corrisponde.

Nell’uomo, la natura ha predisposto una maggiore potenzialità di sviluppo fisico e della forza (la maggiore produzione di testosterone sostiene un maggiore sviluppo fisico, osseo/muscolare), che si declina, però, significativamente, solo laddove specifiche condizioni ambientali lo richiedono.

Ad esempio, in ambienti storico-geografici che facilitano attività legate al procacciamento del cibo che non richiedono particolare forza (tipo quelle di raccolta e di conservazione), le differenze fisiche sono marginali; lo stesso avviene, da un punto di vista culturale, nella suddivisione sociale dei compiti tra i sessi.

In contesti storico-geografici che impongono attività differenziate sul piano dell’uso della forza (esempio, laddove la caccia, attività richiedente importanti doti di forza fisica, a differenza della raccolta dei frutti della terra, è un’indispensabile fonte alimentare, o laddove il sostentamento è in parte garantito da azioni ostili, di guerra di rapina e sciacallaggio, nei confronti di tribù nemiche), i compiti sociali sono più marcatamente differenziati, così come lo sono morfologia e struttura fisica tra i sessi.

Insomma, il rapporto uomo/natura/cultura, nella storia dell’umanità, in materia di differenze tra i sessi, sembra muoversi secondo il seguente schema:

  1. Oltre alle diversità organiche, relative alla funzione sessuale, ci sono differenze naturali tra i sessi riguardanti i rispettivi potenziali di sviluppo fisico;
  2. Dove le condizioni ambientali lo richiedono, avviene una naturale differenziazione dei compiti sociali tra i sessi, correlata all’utilizzo delle rispettive potenzialità naturali (esempio: per cacciare è indispensabile la forza; la forza è una potenzialità naturale maggiore nell’uomo; l’uomo, a differenza della donna, si dedica alla caccia e si sviluppa fisicamente in misura maggiore della donna; questa differenziazione di compiti è una risposta culturale – perché attiene ad una suddivisione di compiti socialmente utili – che sfrutta, socialmente al meglio, una predisposizione naturale)
  3. Ma lo sviluppo culturale dell’uomo, collegato alle proprie capacità di modificare l’ambiente, e il rapporto con lo stesso, a proprio vantaggio, portano a condizioni di vita che non richiedono, tanto meno obbligano a, differenziazioni nelle attività sociali dell’uno e dell’altro sesso, quindi le differenze “naturali” tra i sessi tendono a marginalizzarsi nella sola sfera sessuale/riproduttiva.

Gli studi antropologici (vedi in particolare Margaret Mehad, “Maschio e Femmina”) ci hanno fatto vedere quanto le differenze nei modi di vivere, tra uomini e donne, sotto ogni punto di vista, mentale, psicologico e comportamentale, dipendano dalle relazioni con l’ambiente e dal modo in cui queste sono gestite e organizzate socialmente.

Abbiamo vari esempi di presidi umani, diversi per ubicazione storico-geografica e per organizzazione sociale, in cui, ciò che è più comunemente considerato specifico dell’uno piuttosto che dell’altro sesso (esempio: la cura della prole per le donne, il governo della cosa pubblica per gli uomini; oppure: una spiccata sensibilità affettiva per le donne, una particolare intelligenza logica per gli uomini), si declina in termini opposti!

Eppure, perdura il “pregiudizio” che ci siano differenze “naturali” nei modi di vivere, di pensare, di sentire, di agire propri dell’uno e dell’altro sesso, dipendenti dall’essere uomini oppure donne, maschi o femmine.

Questo è un “pregiudizio” assolutamente “naturale”, basato su di una dinamica psicologica propria dell’uomo, cioè il considerare “naturale” ciò di cui fa esperienza, soprattutto quando questa è vissuta sin dalla nascita, in famiglia, e poi in tutti gli ambiti della propria esistenza, nel corso della propria vita.

Le differenze di genere sessuale caratterizzano l’esperienza dell’uomo per come sono utilizzate e rielaborate socialmente e non perché uomini e donne hanno una struttura fisica-morfologica differente, immediatamente percepibile ai sensi e riconosciuta sin da bambini.

Prima di affrontare questa questione, voglio ampliare il discorso circa l’individuazione delle differenze “naturali” tra uomini e donne.

Abbiamo già parlato degli aspetti biologici/fisiologici, che riguardano le differenze degli organi genitali e delle differenti, in proporzione, produzioni ormonali, con le conseguenti, potenziali o meno, differenze morfologiche e di struttura fisica.

Abbiamo anche rilevato la possibilità che tali differenze siano funzionalmente sfruttate, secondo l’utilità sociale.

Non abbiamo ancora considerato la questione delle possibili differenze, “naturali”, di “personalità”, tra uomo e donna.

Da definizione di vocabolario, “Personalità”:

–           L’insieme delle caratteristiche individuali, non fisiche, che costituiscono o conferiscono motivo di integrità o di distinzione (spec. dal punto di vista giuridico o sul piano dei rapporti sociali, o nel linguaggio psicologico).

Sul piano della “personalità”, le differenze che ci interessano sono quelle riguardanti eventuali, specifiche, caratteristiche psicologiche/comportamentali, dell’uno piuttosto che dell’altro sesso.

A tal proposito, è impossibile non osservare che, nell’età adulta (cioè nel ciclo di vita in cui massima è la produzione ormonale negli individui della specie umana e, in collegamento a ciò, più forte è sentito il bisogno sessuale), in uomini e donne, si riscontrino caratteristiche differenti di personalità.

Chiaramente questo “riscontro” è da prendere con le molle, perché vale solo come rilievo non certo di valore assoluto, ma solo maggioritario.

Tralasciando, di proposito, ogni valutazione collegata alle possibili determinazioni di tipo culturale/educativo e immaginandoci la possibilità di considerare unicamente gli aspetti “naturali” di queste differenze, è impossibile non riconoscere la possibilità di naturali connessioni tra specifiche dotazioni genetiche, specifiche produzioni ormonali, specifici riscontri emotivi e specifiche risposte comportamentali.

Infatti, in generale, riconosciamo che:

  1. La maggiore presenza di testosterone renda gli uomini più aggressivi e propensi al rischio e alla competizione rispetto alle donne, più portate alla pazienza, alla collaborazione, alla tolleranza e alla prudenza.
  2. La conformazione genitale/organica della donna, di predisposizione ad accogliere a far crescere in sé nuove vite e, quindi, a nutrirle, renda la donna più propensa all’affettività, più empaticamente sensibile, più predisposta alla cura dei figli, in particolare, e dell’altro, in generale.
  3. Gli sbalzi di produzioni ormonali, collegati principalmente alla ciclicità mestruale, sottoponga la donna a correlati sbalzi emotivi/umorali, più ricorrenti che nell’uomo e che questo si traduca in una maggiore volubilità nelle donne piuttosto che negli uomini;
  4. Considerando che la ciclicità sia una struttura caratterizzante gran parte dei fenomeni naturali[2], per la familiarità che le donne hanno con la propria naturale esperienza del ciclo mestruale, è comprensibile il particolare collegamento che le donne solitamente hanno con la natura e i suoi cicli; un collegamento che potremmo definire di tipo Romantico, con riferimento alla corrente di pensiero artistico (il Romanticismo) che fortemente insisteva sul particolare, struggente, collegamento umano alla natura e ai suoi aspetti passionali; un collegamento che privilegia le donne sui piani dell’intuizione, della sensibilità empatica e delle capacità di amare, riconoscendo nell’amore quel sentimento caratterizzato dalle sue istanze di accoglienza, integrazione, contenimento, tre funzioni, queste, “naturalmente” tipiche dell’essere donna.

Peccato, però, che tali differenze, per quanto riscontrabili su di un piano generale, siano, in mille occasioni particolari, smentite!

Infatti “mille volte” ritroviamo anche negli uomini quanto qui sopra abbiamo presentato come attributo particolare delle donne.

Un occhio alle credenze e alla loro funzione di convinzioni limitanti.

La capacità di dare un significato alle forme e ai contenuti della propria esistenza, e di trovare modi con cui spiegarsi la varietà dei fenomeni naturali in cui è immersa e da cui, per certi versi, è sovrastata, è una potenzialità che l’uomo ha via più sviluppato, nel corso della propria esperienza storica, in associazione allo sviluppo biologico/fisiologico del proprio cervello e del, collegato, sviluppo delle proprie facoltà mentali, di utilizzo del proprio intelletto e di gestione delle proprie emozioni.

Tale capacità, tra le varie funzioni, ha certamente avuto (e continua ad avere) l’utilità di permettere all’uomo di dare risposte ad alcune angoscianti proprie paure e, in particolare, ai propri bisogni psico-sociali di sicurezza e integrazione sociale.

Ciò che ha caratterizzato la prima, grande, distinzione tra l’essere umano e quello animalesco, è stata certamente la capacità dell’uomo di riflettere su se stesso e sulle cose riguardanti la propria esistenza, nel rapporto col proprio ambiente.

Da tale capacità sono nati sia i primi utensili, necessari a migliorare le condizioni materiali del proprio vivere quotidiano (dalle prime pietre acuminate, alle prime rudimentali “stoviglie”), sia le prime credenze umane, necessarie a migliorare le condizioni del vivere spirituale e sociale, sia a livello individuale, sia a livello collettivo.

Tali credenze nascono per dare risposta:

  1. ai “perché” atavici dell’esistenza umana (chi siamo? da dove veniamo? dove andiamo?)
  2. ai perché di ogni, inspiegabile, accadimento naturale: dal sorgere del sole al suo tramontare per lasciar posto al sorgere della luna; dallo scorrere dell’acqua ai molteplici, imperscrutabili, fenomeni atmosferici; dal crescere delle piante al significato dei sogni; dal nascere al morire; dall’essere maschio/femmina al cosa questo comporti.

Di tali credenze possiamo riconoscere l’importantissima funzione psico-sociale di valorizzazione delle strutture sociali che l’uomo costituisce per meglio soddisfare le proprie esigenze di sopravvivenza e di sviluppo, non solo materiale, anche emotivo e spirituale.

Il “cementarsi” delle strutture sociali umane è un accadimento, dinamico, che si sviluppa, e si mantiene, attraverso l’efficacia dei processi d’integrazione individuo-gruppo sociale.

Le credenze comuni sono una leva indispensabile per il fluire di tali processi (di un insegnamento magistrale, a questo proposito, è il saggio di E. Durkeim, “Le forme elementari della vita religiosa”).

Credere nelle stesse cose rende più forte l’identificazione col gruppo di appartenenza sociale e rende più forte il gruppo stesso, la cui forza serve sia all’esistenza del gruppo e sia, sul piano psicologico, all’individuo.

Il rapporto gruppo-individuo serve a dare all’individuo un senso di riconoscimento sociale e a soddisfarne i bisogni, psicologici, di riconoscimento personale.

Appartenere a un gruppo sociale coeso, rafforza l’identità delle persone, per il loro riconoscersi vicendevolmente.

Se gli altri sono come me, la pensano come me, credono nelle stesse cose e provano gli stessi sentimenti, allora io vado bene, sono nel giusto e questo mi tranquillizza alquanto, mi serve a gestire la mia paura d’essere rifiutato e di non farcela a vivere.

È questa una condizione psicologica che valeva per l’uomo primitivo e, ancora oggi, per tutti noi.

Tutti abbiamo bisogno, per il nostro vivere, del riconoscimento sociale; un bisogno che soddisfiamo per il tramite delle nostre, varie e articolate, forme di appartenenza sociale, dalla famiglia di origine, alla classe d’età, al genere sessuale, ai vari “istituti”, formali e no, socialmente costituitisi, nel corso della storia e in quello della nostra vita.

Così, se per l’uomo primitivo, il bisogno di appartenenza sociale era soddisfatto dall’identificazione familiare-tribale, dalle identificazioni collegate alle classi di età, al genere sessuale e alle prime stratificazioni di ruoli e funzioni sociali; dall’uomo contemporaneo, il bisogno di appartenenza è soddisfatto in modi più articolati, vari e complessi, che non abbandonano però le loro basi primitive, quelle dell’appartenenza ad una famiglia, ad una classe di età e/o sociale, ad un genere sessuale, appunto.

Insomma, per soddisfare il bisogno d’individuazione, di riconoscimento come individuo legittimato nella propria esistenza, appartenere ad un gruppo sociale è una funzione indispensabile, perché non si è individui senza un’identità e l’appartenenza ad un gruppo di simili (il genere sessuale è un importantissimo, per quantità e qualità, “gruppo di simili”) connota e definisce un’identità!

Ecco quindi l’appartenenza di genere sessuale come funzione d’identificazione e individuazione psico-sociale; un’identificazione e un’individuazione che, in tutte le organizzazioni sociali umane, storicamente determinatesi, assume forma, e sostanza, di struttura portante degli assetti societari, con relative definizioni “giuridiche” (tra virgolette, perché il termine è qui utilizzato per comprendere sia gli aspetti legislativi, in quelle società dove esiste una legge, modernamente intesa, sia gli aspetti formalizzati per tradizione socio-culturale) che regolamentano l’essere uomini e donne sul versante dei rispettivi diritti-doveri socialmente riconosciuti.

Insomma, nessun discorso sulle differenze legate all’identità sessuale può essere fatto senza rilevarne la valenza di struttura dell’ordine sociale esistente.

Di questo dovremo ricordarcene, sempre, anche per le incidenze che la tal cosa rappresenta nell’esistenza dei singoli individui, riflettendosi in essa come bisogno di adeguamento personale agli elementi costitutivi dell’identità sessuale di propria appartenenza, un bisogno di adeguamento personale la cui soddisfazione permette quella, ben più importante, dell’auto riconoscimento di sé, come persona degna, accettata e ben voluta da tutti  (a questo proposito, un esempio di malessere individuale, collegato alla difficoltà di soddisfare questo bisogno, è presentato in questo stesso manuale, nel capitolo 5.2, “Storia di Gioconda, la ragazza cui non era cresciuto il seno”).

Per funzionare come struttura dell’ordine sociale esistente, la differenza uomo-donna ha bisogno di credenze socialmente condivise, che, nella storia culturale umana, si dispiegano intorno all’individuazione di origini mitologiche/religiose, di energie e forze naturali, di principi ontologici e strutture archetipiche.

Insomma abbiamo avuto bisogno di spiegarci le differenze di genere sessuale, sviluppando rappresentazioni magiche e intuizioni di varia natura, che sono diventate credenze collettive, socialmente condivise. Abbiamo avuto bisogno di spiegarci, e a quanto pare continuiamo ad averlo, cosa voglia dire essere maschio o femmina, uomo o donna, soprattutto per giustificare quello che, socialmente e nella vita privata di uomini e donne, questo vuol dire, rappresenta e comporta.

Eccoci dunque in quello che possiamo considerare un “dominio” specifico del counseling: cosa può comportare, nell’esistenza dei singoli individui, essere uomo o donna, sentirsi l’uno o l’altra, vivere da uomo o da donna, ma, soprattutto, cosa può vuol dire stare con, e affrontare, ciò che questo produce, di critico e difficoltoso, nella propria vita?

Su tali questioni, a noi counselor, spesso, i nostri clienti chiedono aiuto.

Siamo chiamati ad aiutare persone per cui l’essere uomo o donna,

–           per il proprio modo di sentirsi uomo o donna o qualsiasi relativa declinazione, in qualche specifico momento (affettivo, relazionale e socio-culturale) della propria esistenza,

–           per i propri modi di vivere la propria identità sessuale,

–           per i modi in cui la loro appartenenza di genere sessuale é socialmente gestita,

comporta difficoltà e malesseri vari,

–           a volte anche gravi, come maltrattamenti fisici e psicologici e, addirittura, azioni delittuose fino all’assassinio.

E allora:

  1. ci servirà riferirci ai miti greci (o di qualunque altra cultura) rappresentativi dei vari caratteri maschili e femminili?!
  2. ci servirà richiamarci alla polarità Yin e Yiang, della cultura filosofica orientale, o a strutture archetipiche determinanti l’essere femminile e quello maschile, quali l’Anima e l’Animus di Junghiana definizione?!
  3. ci servirà ricorrere alla metafora del gioco degli opposti (forza centripeta/centrifuga, movimento/staticità, introversione/estroversione, giorno/notte, bello/brutto, buono/cattivo, forte/debole, ecc. ecc., femminile/maschile) come struttura portante dell’esistenza e della natura?!

Sono queste, chiaramente, domande retoriche.

Lascio a Te che leggi la responsabilità di rispondervi.

Per quello che mi riguarda, di certo:

  1. Ci servirà sapere che uomini e donne sono individui della stessa specie, appartenenti a un unico genere, quello umano.
  2. Ci servirà sapere che le uniche, esclusive, differenze tra gli uomini e le donne riguardano alcuni aspetti organici, funzionali alla riproduzione e alla prima nutrizione della prole.
  3. Ci servirà sapere che tali differenze sono collegate ai naturali cicli di vita dell’essere umano, quando su questi non interviene l’uomo stesso a produrre cambiamenti.
  4. Ci servirà sapere che tutte le altre differenze sono variamente manipolabili dall’uomo stesso, in funzione d’interessi specifici e variabili, collegati a condizioni ambientali, geograficamente/storicamente/culturalmente date, e a condizioni personali, impermanenti.
  5. Ci servirà sapere che il sistema di credenze socialmente condiviso, in cui vive il nostro cliente, ne influenzerà immancabilmente l’esistenza e a noi toccherà scoprire come e con che effetti, per valutare insieme a lui come intervenire su questa influenza, quando fosse causa di malessere, aiutandolo a muoversi in termini di cambiamento (perché counseling vuol dire cambiamento!) nei confronti di credenze, che, evidentemente, stanno agendo in lui con funzione di convinzioni limitanti.
  6. Ci servirà sapere che, in materia di bisogni personali/sociali, più che le differenze, per uomini e donne valgono le uguaglianze. Sicurezza, cura e amore, riconoscimento, affermazione, crescita, sviluppo e miglioramento, sono bisogni che uomini e donne provano indifferentemente; a ciascun uomo e a ciascuna donna spetta il compito di trovare buoni modi, per sé e per l’ambiente, di soddisfarli, e a noi counselor tocca il compito di aiutarli, in questa bisogna.
  7. Ci servirà sapere che uomini e donne provano gli stessi sentimenti e le stesse emozioni, così come hanno uguali facoltà mentali e fisiche (solo la forza ha una potenzialità di sviluppo maggiore nell’uomo, ma nella nostra società contemporanea, dove la forza fisica necessaria a chicchessia è disponibile con altri mezzi che non siano quelli fisici, propri, cosa e a chi può importare la possibilità di sviluppare una propria maggiore forza fisica?).
  8. Ci servirà sapere che, quand’anche esistessero propensioni generali (di sentimento/pensiero/azione) differenti tra uomini e donne, nello specifico dei singoli casi con cui potremmo trovarci a lavorare, queste differenze generali potrebbero non avere alcun riscontro.
  9. Ci servirà sapere che è nei singoli casi che prende corpo la vita (nessuno vive in generale, ognuno vive in particolare), cioè è dal modo in cui ciascun singolo individuo percepisce la propria vita, la sperimenta e la conduce che dipende il suo benessere/malessere.
  10. Ci servirà sapere che è nell’integrazione dei singoli modi di percepire la vita, sperimentarla e condurla che avviene l’attivazione di ogni suo processo di cambiamento.

Noi counselor siamo interessati al benessere del singolo individuo che ci chiede aiuto; per questa ragione accogliamo lui e quello che lui stesso porta, di sé, con i suoi pensieri, i suoi sentimenti e comportamenti.

Lo aiutiamo a scoprire meglio, in modo più chiaro, cosa prova e cosa vuole, quali sono i suoi bisogni, cosa sta facendo per soddisfarli e se questo funziona.

Lo aiutiamo a esplorare le sue nuove possibilità d’azione, più corrispondenti alle sue potenzialità, più in armonia e in equilibrio con il proprio ambiente o più capaci di reggerne l’urto e gli eventuali conflitti.

Non possiamo riferirci ad alcun modello precostituito relativo all’essere donna o uomo e al come adeguarsi a questo, perché proprio una tale dinamica potrebbe essere la causa principale del malessere di chi ci chiede aiuto.

La filosofia del counseling è di considerare come migliore possibilità delle persone quella di realizzarsi corrispondendo positivamente ai propri bisogni, con propri pensieri, proprie volontà-possibilità, propri sentimenti, non certo corrispondendo acriticamente e supinamente ai dettami di un qualche modello ideale, giudizio o volontà altrui, ma interagendo con questi alla ricerca dei propri migliori equilibri esistenziali e del miglioramento del proprio contatto-relazione con l’ambiente, anche ricorrendo al conflitto, quando un’altra possibilità non fosse possibile.

Per questo respingiamo l’atteggiamento di chi pontifica su ciò che deve accadere perché le persone possano stare bene e/o su ciò che loro stesse debbano fare per stare bene.

Consideriamo un tale atteggiamento sempre dipendente da una qualche forma di pregiudizio.

Per noi counselor, le classificazioni e le teorizzazioni volte a inquadrare modelli ideali cui riferirsi per ottenere la migliore realizzazione di sé difficilmente aiutano le persone a realizzarsi, più facilmente agiscono da ostacolo al loro benessere.

Circa il tema che stiamo qui analizzando (caratteristiche dell’identità di genere sessuale), importanti suggestioni sono fornite dalla varietà di rappresentazioni magiche, religiose e mitologiche che la storia della cultura umana ha, storicamente, prodotto e continua a produrre.

Ma se inserissimo tutte queste rappresentazioni in un immaginario e onnicomprensivo “catalogo di figurine”, ritroveremmo in ciascuna un carattere e/o una caratteristica “umana”, piuttosto che “maschile o femminile”.

La tal cosa potrà essere rappresentata, a volte, in una figura femminile, altre in una figura maschile, in dipendenza del fatto che, nella cultura che ha partorito quella rappresentazione, quel carattere-caratteristica fosse appannaggio di un sesso piuttosto che dell’altro.

Ad esempio, l’attitudine al “viaggiare”, “esplorare” nuove terre e conquistarle, quindi al dinamismo e al cambiamento, come caratteristica tipicamente maschile è confermata da svariate figure mitologiche di sesso maschile, ma tutte queste figure appartengono all’immaginario collettivo di popolazioni la cui organizzazione sociale prevedeva tale funzione come appannaggio degli uomini.

Che una tale attitudine non sia (almeno come potenzialità) un’esclusiva maschile è, altresì, confermato dall’esistenza di figure mitologiche di sesso femminile, che la incarnano anch’esse.

La differenza sta nel fatto che le figure mitologiche che incarnano l’attitudine maschile al viaggio sono di “ordine” superiore, rispetto a quelle femminili, esattamente come accade nell’ordinamento sociale uomo-donna, che le ha prodotte.

Insomma, anche se in certe visioni della cultura umana (sicuramente in quella primitiva e antica, senza trascurare, però, importanti, e a volte inimmaginabili, sacche di cultura contemporanea) le rappresentazioni magiche, religiose, mitologiche, sono presentate come entità, strutture archetipiche, forze soprannaturali, preesistenti e fagocitanti l’esistenza dell’uomo, come non considerarle, storicamente e antropologicamente, come proiezioni dell’anima e dell’intelletto umano?

Prendere una posizione definitiva su questa questione, cioè se le forme magiche, mitologiche e religiose si riferiscano a entità e/o a forze preesistenti/fagocitanti la condizione umana, oppure se ne siano un frutto, è una questione inutile, per noi counselor, che siamo interessati alla vita presente, quotidiana, nostra e dei nostri clienti.

Come counselor, ci “accontentiamo” di rilevare il fatto che non abbiamo il potere di accedere a conoscenze mistiche/superiori, ma siamo in grado di riconoscere le dinamiche proiettive che portano l’uomo alla rappresentazione delle figure magiche/religiose/mitologiche, che costellano l’intera sua storia.

Insomma, per chi fa counseling, la realizzazione di una persona, in materia d’identità sessuale, non può in alcun modo dipendere da quanto uomini e donne incarnino caratteri e caratteristiche proprie dell’uno e dell’altro sesso, caratteri e caratteristiche proprie, perché definite da un qualche modello naturale, predefinito da forze soprannaturali.

Per questo non possiamo non diffidare di tutte quelle teorie che inquadrano caratteri e caratteristiche dell’uno e dell’altro sesso come derivanti da principi, istanze e forze di natura ontologica (nella filosofia di M. Heidegger, ontologico è ciò che riguarda l’essere degli enti, cioè la loro essenza categoriale), fino ad arrivare a sostantivare gli aggettivi maschile e femminile in “Maschile” e “Femminile”, due “entità” munite di identità propria, invece che due qualità, riferibili, di volta in volta, a qualcosa o a qualcuno.

La rischiosità di simili teorie è di rendere possibili, e facilitarle, derive culturali banalmente rappresentate, ad esempio, da affermazioni tipo:

«Se una donna esce di casa e gli uomini non le mettono gli occhi addosso, deve preoccuparsi, perché vuol dire che il suo femminile non è presente in primo piano».

È questa una fra le tante dichiarazioni di ugual ridicolo “spessore” offerte pubblicamente, in questi ultimi anni, da un personaggio quale Raffaele Morelli, “eminente” psichiatra-psicoterapeuta, direttore di una rivista di successo, e di una collegata scuola di formazione, di divulgazione di saperi psicologici.

Il successo pubblico di quest’uomo e delle sue produzioni intellettuali testimonia la perniciosità di certi modi di pensare e di rappresentare le questioni legate all’essere maschio o femmina, alias uomini o donne.

Parlare di “Maschile” e “Femminile” come principi ontologici, porta a categorizzare l’essenza dell’essere uomo o donna, associando all’uno, piuttosto che all’altro genere, caratteri e caratteristiche che, invece, sono sia dell’uno e sia dell’altro.

La “vulgata” che ne deriva “spacca” il genere umano in due polii opposti, con peculiarità differenti, “spiegate” come riproposizione dalla naturale polarità che contraddistingue tutte le dimensioni del vivere e della natura (esempio: yin e yang, introversione ed estroversione, chiuso e aperto, giorno e notte, bello e brutto, ecc., ecc.).

Quindi, riportando tale principio di polarità nella specie umana, fatalmente ci ritroviamo a fare i conti con suddivisioni che diventano stratificazioni, che più difficilmente sosterranno processi di integrazione tra i due sotto-generi sessuali.

Insomma, la tesi che qui si sostiene è schematizzata nei seguenti punti:

  1. Esiste un solo genere, quello umano, organizzato geneticamente, ai fini della riproduzione e della salvaguardia della specie, in una tipologia sessuale, uomo/donna, alla quale corrispondono differenze di struttura fisica e
  2. alcune, marginali, differenti risposte comportamentali, fisse e limitate nel tempo, collegate alla gestione delle funzioni riproduttive e di prima nutrizione e cura della prole;
  3. molte, e prolungate nel tempo, possono essere le differenze psicologiche/comportamentali, tra uomini e donne, in dipendenza da come i rispettivi ruoli e funzioni  vengono socio-culturalmente determinati;
  4. la differenziazione maschile/femminile non è una polarizzazione, per cui si può essere più o meno maschi e più o meno femmine a seconda del punto in cui ci si posiziona lungo la linea che congiunge i due poli dell’essere maschio e dell’essere femmina;
  5. volersi spiegare le differenze tra l’essere uomo e l’essere donna sulla base di principi e dinamiche “naturali”, piuttosto che culturali, è un esercizio sterile, perché natura e cultura non sono due campi separati e/o separabili, ma integrati;
  6. ogni teorizzazione centrata su principi, strutture archetipiche, istanze e forze divine/soprannaturali, individuanti una qualche essenza maschile o femminile comporta il forte rischio di legittimare indebite associazioni tra il modo in cui i singoli individui vivono il proprio essere uomini o donne ed il modo in cui dovrebbero viverlo;
  7. escludendo le specifiche funzioni collegate alla riproduzione (ovulazione, gestazione, parto, prima nutrizione), che sono “potenzialità” unicamente femminili, tutte le altre caratteristiche variamente attribuite all’uno o all’altro sesso, secondo varie teorie archetipiche, mitologiche, religiose, ecc. ecc., sono, invece e di fatto, “potenzialità” proprie del genere umano, i cui sviluppi sono riscontrabili sia nell’uomo, sia nella donna.

Per rendere più chiaro quanto espresso nel punto 5., di cui sopra, propongo una tabella che suddivide le caratteristiche umane, incolonnandole secondo le idee più in voga relativamente a ciò che contraddistinguerebbe l’appartenenza al genere maschile piuttosto che a quello femminile.

La suddivisione è fatta anche come declinazione di quella teoria degli opposti, che inquadra “Maschile” e “Femminile” come polarità caratterizzante l’essere umano:

MASCHILE                                                                  FEMMINILE

Aggressività                                                               Remissività

Forza                                                                         Debolezza

Grandezza                                                                 Piccolezza

Determinazione                                                        Irresolutezza

Respingente                                                              Accogliente/seducente

Rudezza                                                                     Grazia

Appuntito                                                                 Rotondo

Ordine                                                                       Disordine

Logica                                                                        Intuizione

Potere/Autorità                                                        Servizio

Mente                                                                        Cuore

Guerra                                                                                   Pace

Velocità                                                                     Lentezza

Pubblico                                                                    Privato

Esteriore                                                                    Interiore

Andare                                                                      Restare

Centrifuga                                                                 Centripeta

Cambiamento                                                                       Conservazione

Non è fin troppo ovvio quanto questa qui sopra (come tutte quelle simili) sia una classificazione assolutamente improponibile come dato di realtà?!

Non è fin troppo ovvio che tutte le caratteristiche qui sopra suddivise in due colonne diverse, sono potenzialità del genere umano, indipendenti dall’appartenenza a un “sottogenere” sessuale?

A cosa ci serve impegnare tempo e facoltà mentali cercando di definire cosa è proprio dell’uno piuttosto che dell’altro sesso quando viviamo una condizione esistenziale che permette, almeno potenzialmente, a uomini e a donne di fare le stesse identiche cose? (fatto salvo gli impedimenti che le donne vivono, temporaneamente, in collegamento alle fasi di gestazione, parto e prima nutrizione; impedimenti che, però, non prevedono difficoltà, di qualunque ordine e grado, per le donne, che non possano essere socialmente risolte).

Chi insiste sull’esistenza del “Femminile” e del “Maschile”, si rende conto che un effetto ineludibile del parlare di “Maschile” e “Femminile” è quello di prestare il fianco a classificazioni pregiudiziali, tipo questa qui sopra presentata?

Invece di proporre (come fanno molti teorici della preesistenza di energie squisitamente femminili e maschili) un’equilibrata integrazione di “Maschile” e “Femminile” in ciascun individuo (indipendentemente dal sesso) come condizione di benessere personale, il fare counseling richiama ragionamenti molto più facili da accettare e più capaci di sostenere benefici processi di valorizzazione dell’identità sessuale:

  1. le uniche differenze di genere sessuale che riconosciamo di valore sono quelle collegate alle funzioni riproduttive, i cui “frutti” sono un bene dell’umanità intera, indipendentemente  dall’essere uomini o donne;
  2. essendo tali funzioni un “carico” personale (nonché una bellezza esistenziale!) che ricade principalmente sulle donne, la gestione dei relativi effetti “negativi” (l’indisponibilità temporanea, collegata al periodo pre e post parto, a compiere determinate attività) non può che essere un “carico” portato sia dagli uomini, sia dalle donne, coinvolgendo la responsabilità di entrambi, senza distinzioni che penalizzino le une o gli altri;
  3. invece di suddividere le caratteristiche comportamentali, sentimentali e di pensiero, secondo logiche di appartenenza di genere sessuale, le riconosciamo per quello che sono:  “semplici potenzialità umane”, che alla bisogna (quindi a seconda delle circostanze di vita e di esistenza quotidiana, privata, relazionale, pubblica) uomini e donne possono, indifferentemente, “tirare fuori” e valorizzare sfruttando le proprie personali possibilità, intervenendo sull’ambiente (soprattutto sul piano relazionale e politico-culturale) per modificare quelle condizioni che ne ostacolano la realizzazione secondo logiche di discriminazione sessuale.

Insomma, richiamiamo l’attenzione sul fatto che siamo uomini e donne, per status genetico, che solo in determinate e specifiche circostanze ci chiama ad agire/sentire coerentemente alla nostra identità sessuale; in tutte le altre non siamo uomini e donne, siamo persone con identiche potenzialità da poter mettere a frutto, salvo che qualcosa/qualcuno non lo impedisca.

È nostro compito rimuovere ciò che, di volta in volta, potrebbe impedirci di mettere a frutto le nostre potenzialità e dividere il mondo in “Maschile” e “Femminile” certamente non aiuta questa “missione”.

La aiuta, invece e ad esempio, il riconoscere che il mio essere uomo non è qualificato dalla mia aggressività, perché posso essere uomo anche essendo remissivo, così come posso essere donna anche essendo molto aggressiva.

Una donna che si comporta aggressivamente non tira fuori la sua parte maschile, tira fuori la sua aggressività, che è una funzione, e una qualità, umana, non di genere sessuale.

Così come un uomo che si muove con grazia, non tira fuori, né valorizza, la sua parte femminile; semplicemente attiva una propria potenzialità umana, non di genere sessuale.

Noi counselor sappiamo che il modo in cui ci raccontiamo le cose non è indifferente per i nostri processi esistenziali di malessere/benessere.

Tutte le narrazioni che parlano di “Maschile” e di “Femminile” promuovono le seguenti, collegate, identificazioni:

  1. il “Maschile” per i maschi, quindi per uomini bambini, ragazzi, adulti, vecchi;
  2. il “Femminile” per le femmine, quindi donne bambine, ragazze, adulte, vecchie;

Poi hai voglia a lavarti la coscienza parlando d’istanze presenti in entrambi i sessi che richiedono d’essere integrate!

Ormai il danno è fatto.

Insomma, come counselor, non può piacerci che i termini “femminile” e “maschile” siano sostantivati.

Se tali termini smettono di essere due aggettivi, indicanti una o più qualità, e diventano un sostantivo, indicante un qualcosa di specifico, in sé e per sé, nel caso un principio, una struttura innata di forme, sostanze ed energie, gli uomini e le donne che non vi corrispondono finiscono col diventare uno scarto (dal modello ideale) e questa cosa è intollerabile.

Che questo sia più difficile da capire per uno psichiatra, uno psicoterapeuta, uno psicologo, può non stupirci; la loro formazione si basa:

  1. sulla ricerca di modelli e strutture ideali di buon funzionamento delle cose e di sano comportamento delle persone;
  2. sul come individuare ciò che non gli corrisponde, classificandolo come disturbo/malattia nei loro manuali diagnostici;
  3. sul come intervenire per gestire/curare/risolvere la cosa.

Che i termini “maschile” e “femminile” siano usati come “semplici” aggettivi, indicanti qualità di “oggetti” ed “elementi” riferibili ad un sesso e alle relative forme, e sostanze, culturalmente correlate di identità sessuale, è quanto noi counselor consideriamo più utile al bene di tutti, uomini e donne.

Questo ci aiuterà senz’altro ad aiutare i nostri clienti a trovare, ciascuno, il proprio modo di essere/sentirsi uomo o donna e di agire di conseguenza.

Come ci comporteremo, quindi e ad esempio, con una donna che ci riporta, per usare una locuzione orribilmente in uso, “problemi con il proprio femminile”?

(mutatis mutandis, faremmo sostanzialmente lo stesso con un uomo)

Innanzitutto, metteremo ben a fuoco cosa intenda lei per femminile, come vive lei, partendo dai propri sentimenti, il proprio rapporto con ciò che lei stessa intende per “femminile”, che senso abbia per lei la cosa e quali, propri, bisogni fatichi a soddisfare, sempre rispetto alle difficoltà che sta vivendo.

La confronteremo allora su cosa voglia dire, per lei, averi “problemi con il proprio femminile” e su cosa accadrebbe se, invece di raccontarsela così, utilizzasse un’altra narrazione, magari rispondendo a domande tipo:

  • Cosa vuol dire, per te, essere una donna, nel mondo in cui vivi?
  • In che modo una donna è femminile e/o può valorizzare il proprio essere donna?
  • Sei sicura che quello che stai rincorrendo sia l’unico modo possibile per te di essere una donna e il migliore per te?
  • Quando, nella tua esperienza, puoi dire di riconoscerti come donna?
  • Cos’è che ti fa sentire donna?
  • Ci sono altri modi di rappresentarti, di agire, che potrebbero farti sentirti donna?
  • Conosci altre donne che vivono i tuoi stessi problemi e come li risolvono?
  • Conosci altre donne che vivono la questione dell’essere donna in modo completamente diverso del tuo, stando bene con la cosa?

Lavoreremo con lei per riconoscere i suoi bisogni circa ciò che comporta, per lei, il suo essere donna; questo la ancorerebbe alla sua realtà esistenziale e ai mille modi possibili per migliorarla, invece di stare con lei a farsi seghe mentali sul modo di valorizzare il proprio “Femminile” e/o di integrarlo con il proprio “Maschile”, cosa che purtroppo avviene quando a fare counseling ritroviamo counselor formati in scuole con approcci mistici, metafisici, esoterici e para-psicologici; scuole in cui é insegnata l’esistenza di astrazioni tipo “il vero Sé” e dei suoi collegati principi archetipici: il Maschile, il Femminile.

Per rendere l’idea di quanto sia fondato il rischio di scambiare le proprie credenze per verità assolute, perdendo così le proprie capacità critiche, di analisi e ragionamento, riporto un commento, di una collega counselor (una donna!!! diplomatasi in una scuola di counseling che si chiama “Accademia del Sé”), pubblicato nel giugno 2020, nella pagina Facebook di un gruppo di counselor italiani, a proposito del comportamento di Michela Murgia, scrittrice, giornalista e conduttrice di un programma radiofonico, che nello stesso, confronta duramente Raffaele Morelli, a proposito della sua dichiarazione, riportata poche pagine in dietro:

 “La Sig. Ra Murgia, come tanti di voi, a quanto pare, non ha gli strumenti per poter comprendere cosa intendesse Morelli con il radicamento alle doti innate del femminile…

Il porsi sfidante della Murgia con arroganza, prevaricazione e assoluta sfida, non è proprio di una donna risvegliata al suo femminile…

mi riferisco ai molteplici aspetti del femminile di una donna, le polarizzazioni sul maschile, le qualità femminili infrante, e gli archetipi, le dee e altre mille aspetti di luce e ombra che un femminile come quello della Murgia rappresenta…

il femmile è una dote innata di qualità…”

(Tu che leggi, tieni bene a mente e nel cuore queste parole e confrontale con le argomentazioni che qui seguiranno).

Chi scrive, invece, considera che a noi counselor, semplicemente:

  1. sia di grande aiuto lavorare con un concetto di maschile e di femminile come semplice aggettivo, collegato ad un’identità sessuale dai caratteri naturalmente fissi, dati e definiti, solo negli aspetti genetici ed in quelli, fisicamente, ad essi collegati,
  2. sia utile riconoscerne, degli stessi, l’ampio spettro possibile, culturalmente e psicologicamente accettabile, di variazioni morfologiche.

Il riconoscimento di tali, possibili, variazioni, allora, si unirebbe molto più facilmente a quello di tutte le possibili, varie, declinazioni dell’essere femminile/maschile, che potrebbero, finalmente, essere viste per quello che sono: variabili dipendenti, funzione dei sentimenti e dei bisogni, contingenti, del singolo, il cui destino è appeso al filo della sua capacità di integrarli al contesto socio-culturale di appartenenza.

Come counselor, aiutiamo i nostri clienti a stare, al meglio delle loro possibilità, con loro stessi, nelle circostanze relazionali in cui vivono, trovando progressivamente i migliori modi per migliorare questo loro stare.

Rispetto alle questioni legate all’identità e all’appartenenza di genere, proponiamo di smetterla di considerare l’appartenenza di genere sessuale all’interno  di dinamiche bipolari; dividere il mondo in “Maschile” e “Femminile” non conviene, soprattutto a chi, da questa suddivisione è stato storicamente penalizzato e continua a esserlo.

Ci sono attitudini, sentimenti, caratteristiche comportamentali più facilmente attribuibili a un sesso piuttosto che a un altro perché così siamo stati abituati a fare.

Se di queste attribuzioni analizziamo i contenuti, scopriamo elementi che caratterizzano una personalità di specie (quella umana) piuttosto che di genere sessuale.

Poiché il nostro livello di civiltà ci chiama a sviluppi psico-sociali capaci di garantire a uomini e donne uguali diritti di vita, di espressione  e di realizzazione di sé, abbiamo bisogno di produrre cambiamenti nel nostro campo di esistenza naturale-culturale, capaci di promuovere e sostenere tali sviluppi.

Per riuscirci è indispensabile muoversi tenendo conto dell’inestricabile relazione individuo-ambiente.

Di tale relazione riconosciamo una funzione che, indiscutibilmente, caratterizza un’identità sessuale, differenziandola dall’altra: la maternità.

È questa una funzione naturale, esclusivamente femminile, che collega l’esistenza di ogni singola persona alla vita intera e, quindi, all’ambiente che la rende possibile.

La maternità, una potenzialità umana, femminile.

Se esiste un’indiscutibile differenza di genere sessuale, che contraddistingue la donna, questa è sicuramente quella che solo lei è organizzata e programmata biologicamente/fisiologicamente per diventare madre, per poter cioè accogliere in sé la nascita di nuove vite umane, permetterne, all’interno del proprio corpo, i primi fondamentali sviluppi fino al loro “venire al mondo”, per occuparvi un proprio, autonomo e sempre più “indipendente”, spazio.

Tale differenza di genere sessuale è una “potenzialità” che chiamiamo “maternità”.

La chiamiamo potenzialità perché non tutte le donne diventano madri, vuoi perché qualcosa può impedire loro di diventarlo, vuoi perché hanno anche la “potenzialità” di scegliere di non diventarlo.

Ogni individuo del genere umano viene al mondo con un bagaglio di potenzialità, che saranno e potranno essere variamente e variabilmente sviluppate e valorizzate nel corso della propria vita.

Per potenzialità qui intendiamo tutto ciò che nella propria esistenza (l’esistere nel tempo) un individuo (donna o uomo che sia) può far crescere e affermare e tutto ciò che in un individuo può crescere ed affermarsi.

La crescita stessa è una potenzialità, come il camminare e il correre, il parlare ed il cantare, il far di conto e il ragionare, il servirsi dei propri sensi e il provare un’ampia gamma di sentimenti e sensazioni, il soddisfare i propri bisogni, primari e secondari, l’espressione artistica e la consapevolezza, l’immaginare e il riflettere, su di sé e sulla vita, e quant’altro ancora, compresa l’antifona, volessimo aggiungere.

In materia di “potenzialità” una cosa è certa: ne abbiamo una dotazione naturale tale che nessun individuo, singolarmente, potrà mai riuscire a valorizzarle tutte.

La spiegazione più semplicemente ovvia di tal cosa è che la vita di ciascun singolo individuo non vale solo in sé e per sé, ma vale come parte di una vita più grande.

Abbiamo più potenzialità di quelle che, singolarmente, possiamo valorizzare perché il farlo, in alcuni casi e per certi versi, servirà a noi per soddisfare i nostri bisogni di singoli individui, in tutti gli altri casi e per altri versi servirà a soddisfare i bisogni della nostra specie.

In altri termini: non importa se un individuo non realizza tutte le potenzialità umane, conta che tutte le potenzialità umane siano soddisfatte dall’insieme degli individui che compongono l’umanità, così che tutti ne potranno beneficiare.

La maternità è un chiaro esempio di tale possibilità.

Non è necessario che tutte le donne facciano figli; è necessario che li facciano una buona parte di loro, quanta basta per garantire la sopravvivenza della specie.

Come potenzialità delle donne, la maternità, per essere realizzata, deve diventare un bisogno, sentito e soddisfatto dalla gran parte delle donne, non da tutte, perché non serve che tutte sentano questo bisogno e lo soddisfino, perché il suo collegato scopo (la conservazione delle specie) sia conseguito.

Insomma, in quest’alba del terzo millennio, ci sono più potenziali mamme di quanti figli servano per la conservazione della specie.

Sul piano dell’esistenza individuale, fare un figlio non è indispensabile, si vive lo stesso anche senza, ma, spesso, per una donna, decidere di non fare figli o non poterli avere diventa un bel problema!

Diventa un problema per quella donna che sente la maternità come un bisogno, che non riesce a soddisfare (il fatto che la senta come un bisogno fa parte del “marchingegno” che la natura ha predisposto per muovere i processi deputati alla riproduzione umana e, quindi, alla conservazione della relativa specie).

Non avere figli può diventare un problema, di accettazione sociale, per quella donna che, non sentendone il bisogno o avendone altri, più impellenti, sceglie di non farli.

Per noi counselor è fondamentale:

  1. vedere la maternità nelle sue vesti e funzioni di potenzialità;
  2. riconoscere che, in quanto esseri umani, abbiamo più “potenzialità” di quelle che umanamente possiamo valorizzare, al meglio delle nostre possibilità;
  3. avere ben presente che non siamo fatti per sviluppare e valorizzare al meglio tutte le nostre potenzialità; siamo fatti per sviluppare, al meglio, quelle a noi più propriamente congeniali, e, tutti insieme, tutte!
  4. il benessere del singolo non è dato dal riuscire a realizzare questa o quella potenzialità, ma di realizzare quelle per lui possibili e più congeniali, inquadrando la cosa in un piano più ampio di ciò che il senso comune può indicare, facendosi aiutare dalla creatività, una tra le più importanti delle potenzialità umane.

Aver buona coscienza di quest’ultimo punto 4, ci permette di aiutare i nostri clienti, da un lato, nella gestione di quelle potenzialità che, pur desiderandolo, non riescono ad esprimere al meglio e/o a realizzare, dall’altro, ad individuare  e a valorizzare quelle che, invece, gli si offrono come proprie buone possibilità di realizzazione, inquadrando il tutto nel più ampio e complesso piano di crescita e di sviluppo non solo di se stessi come singoli individui, ma come parte di un’intera umanità che è, a sua volta, parte di un tutto che chiamiamo vita, un “tutto” che starà sempre meglio insieme solo se ciascuno farà, bene, la propria parte.

Riconoscere la maternità come potenzialità, tipicamente femminile, ci permette, in parallelo, di riconoscere agevolmente che, per il fatto di aver sviluppato in modo “massiccio” tale potenzialità, le donne siano, storicamente e in generale, più allenate degli uomini alla messa in atto di alcune, altre, potenzialità umane (sottolineo “umane” e non di “genere sessuale”) connaturate alla maternità, come ad esempio l’amore, la cura, l’attenzione, l’ascolto, l’empatia.

La valorizzazione di queste potenzialità umane è senz’altro un “valore” di cui potremmo meglio beneficiare tutti, uomini e donne.

Perché questo possa avvenire, tali potenzialità hanno bisogno di una migliore considerazione socio-culturale.

Io credo che a questa missione siano chiamate, per il loro avere più familiarità con queste potenzialità, in particolare le donne.

Le donne, in particolare, sono chiamate a insegnare e a far apprezzare, a tutto il genere umano, il valore e la forza di potenzialità quali l’amore, la cura, l’attenzione, l’ascolto, l’empatia.

A noi uomini tocca il compito di imparare, restituendo il tutto, all’intera umanità, integrato di ciò cui siamo più abituati: la valorizzazione di potenzialità umane (umane, ripeto, non di genere sessuale) quali la forza, l’analisi logica, l’accettazione del rischio, il cambiamento; per far sì, finalmente, che sia negli uomini, sia nelle donne, si valorizzino al meglio le potenzialità umane migliori: l’amore, la cura, l’attenzione, l’ascolto, l’empatia, la forza, la logica, l’accettazione del rischio ed il cambiamento.

Conclusioni.

La nostra tesi è che, rispetto alla propria identità sessuale, la realizzazione di un uomo e di una donna dipenda da come vivono i contenuti di femminilità e di mascolinità che l’integrazione natura-cultura produce nella loro esistenza quotidiana.

Se tale modo è vissuto bene dai singoli, uomo/donna, allora “siamo a cavallo”!

Perché questo accada, é fondamentale il grado di riconoscimento sociale che riscuote il modo scelto dal singolo per affermare la propria identità sessuale.

Noi counselor, in materia di superamento di difficoltà legate a vissuti personali riguardanti l’identità sessuale, siamo quindi chiamati ad agire su due piani:

  1. Quello personale, dei nostri singoli clienti, aiutandoli a trovare il loro miglior modo di affrontare le difficoltà che vivono circa la propria identità ed appartenenza di genere sessuale;
  2. Quello culturale, di come il senso comune percepisce e influenza l’identità  e l’appartenenza di genere sessuale dei singoli individui, uomini o donna che siano.

Circa il primo piano, le difficoltà più comuni riguardano la gestione dello “scarto” tra la percezione di sé e i propri modelli ideali di riferimento, tra i propri bisogni di espressione/realizzazione personale (sempre in materia di identità sessuale) e quanto la soddisfazione di questi bisogni sia compatibile con il contesto socio-culturale di appartenenza.

Rispetto a questo, noi counselor lavoriamo su più fronti:

  1. sulla percezione di sé, indagandola insieme al cliente e facendogliela risperimentare, in più modi, sia come consapevolezza corporea, sia come valore emotivo;
  2. sul rapporto tra la propria percezione e il come questa viene vissuta nelle relazioni interpersonali più importanti (solitamente in famiglia, con gli amici, compagni di scuola e colleghi di lavoro);
  3. sul rapporto tra la propria percezione e la dimensione socio-culturale cui il cliente si confronta.

Ciò che emergerà e diventerà chiaro, da tale lavoro, alla coscienza del cliente, lo aiuterà a rielaborare positivamente la propria percezione, sui due piani delle proprie sensazioni-sentimenti e dei significati che lo stesso cliente attribuirà alle proprie sensazioni-sentimenti, da tale cosa il cliente trarrà suoi migliori orientamenti su come gestire il tutto sul piano della sua vita quotidiana e sociale.

Altre vie di “lavoro”, come quelle di ricercare, esprimere, valorizzare e integrare le proprie, presunte, componenti innate di femminile e di maschile, corrispondono a logiche che hanno più a che fare con dimensioni esoteriche, mistiche e para-psicologiche; logiche che con il counseling centrano poco e nulla e dalle quali, quindi, noi counselor dovremmo prendere le distanze, per una salvaguardia, un miglior riconoscimento e una migliore affermazione della nostra identità, delle nostre capacità e del nostro valore professionale.

Ogni rappresentazione di maschile/femminile è un filtro ottico, e di pensiero, che invece di migliorare, più facilmente peggiora i sensi che ne ricaviamo.

A noi counselor, non servono “filtri”:

  1. Ci servirà sapere che uomini e donne sono esseri biologicamente/fisiologicamente complementari, che per questo si cercano reciprocamente, naturalmente.
  2. Ci servirà sapere del piacere particolare che uomini provano a stare con altri uomini, e le donne con altre donne; siamo tutti attratti dai nostri simili: ci si ricerca fra uguali, perché l’uguaglianza è un’esperienza di rassicurazione identitaria (sono uguale a degli altri, quindi sono ok) e di facilitazione relazionale.
  3. Ci servirà sapere che uomini e donne sono esseri appartenenti alla stessa specie, che condividono la gran parte delle proprie caratteristiche e si differenziano, funzionalmente, solo per alcune, per garantire la conservazione della specie.
  4. Ci servirà sapere che uomini e donne sono esseri uguali e diversi nello stesso tempo, che necessitano di uguali e di differenti condizioni di vita organizzata, uguali per ciò che li accomuna, differenti per ciò che li differenzia.
  5. Ci servirà sapere che una delle “misure” di civiltà più importanti, della nostra cultura e della nostra società, riguarda proprio la capacità di garantire efficienti livelli d’organizzazione di condizioni di vita, capaci di gestire al meglio le uguaglianze e le diversità che la caratterizzano.
  6. Ci servirà sapere che l’appartenenza di genere sessuale è inquadrata in un sistema di credenze che ne influenzano le declinazioni sociali, individuali e collettive; se non s’interviene su queste credenze, sarà impossibile muoversi verso i necessari miglioramenti.
  7. Ci servirà sapere che è storicamente osservabile, antropologicamente osservato (vedi il magnifico saggio di Margareth Mead, “Maschio e Femmina”) e incontrovertibile, che ogni cambiamento culturale riferito all’identità maschio-femmina, accompagna e segue relativi cambiamenti nelle relazioni interpersonali, private e pubbliche, tra individui sia di sesso opposto, sia dello stesso sesso; tali cambiamenti si riflettono in tutti gli ambiti delle strutture politico-sociali in cui questi stessi individui vivono e nei modi in cui i singoli individui “abitano” la propria identità sessuale e la propria appartenenza di genere, con effetti che possono essere di miglioramento o di peggioramento delle loro, pubbliche e private, particolari e generali, condizioni esistenziali.
  8. Ci servirà sapere che ciò che vuol dire essere maschi o femmine, cosa comporti, come debba essere gestito e come questo possa essere fatto, sono tutte questioni che, noi counselor, affrontiamo con i nostri clienti, nei singoli e specifici casi, partendo dai loro singoli e specifici bisogni, visti nei termini in cui loro stessi li riportano nelle nostre sessioni di counseling;
  9. Ci servirà saper che, se ciò che é comunemente assegnato (come caratteristica innata specifica) a un genere sessuale piuttosto che all’altro, sarà invece riconosciuto come una potenzialità umana, quindi di entrambi i sessi, questo ci permetterà di confrontare più liberamente i nostri clienti, meglio sostenendoli nelle loro scelte di libertà.
  10. Ci servirà sapere che tutte le potenzialità umane sono funzioni che l’uomo attiva a condizione di sentirne il bisogno!
  11. Ci servirà sapere che a nuove condizioni di vita sociale corrisponde l’insorgenza di nuovi bisogni personali, che producono cambiamenti innanzitutto nei comportamenti, poi negli aspetti mentali e psicologici (per questa ragione, i comportamenti cambiano sempre prima della mentalità! Esempio: i maschi che si prendono cura dei figli, adoperandosi in funzioni “naturalmente” femminili, come l’allattamento, avendolo a disposizione in forme artificiali).
  12. Ci servirà sapere che la vita è un processo cui uomini e donne partecipano olisticamente, vale a dire che non sarebbe possibile senza il concorso di entrambi; per questo si attraggono, si cercano, si vogliono.
  13. Ci servirà sapere che natura e cultura sono due dimensioni inestricabili nell’esperienza umana, e che anche per questo il counseling è un’attività professionale centrata sulla sua valorizzazione.
  14. Ci servirà sapere che sull’idea di “naturali” differenze tra i sessi si sono storicamente fondate e sviluppate importanti differenziazioni di diritti e doveri sociali, di privilegi e limitazioni, riguardanti gli appartenenti all’uno e all’altro sesso, che, prevalentemente, ha svantaggiato e penalizzato le donne: sulla credenza che esistano aspetti e caratteristiche specifiche riferibili a un sesso piuttosto che all’altro si fondano tutte le peggiori declinazioni maschiliste del nostro vivere sociale.
  15. Ci servirà sapere che associare l’identità sessuale (maschio/femmina) all’appartenenza di genere (maschile/femminile), per via di caratteristiche ipostatizzate come naturali, come se ci fosse qualcosa di proprio dell’essere donna e dell’essere uomo, è il pregiudizio su cui, storicamente, sono fondate le più banalmente perniciose declinazioni socio-culturali che differenziano l’appartenenza di genere sessuale.
  16. Ci servirà sapere che, tra i principi del counseling, NON c’è quello di riferirsi a spiegazioni derivate da qualche teoria, mito, classificazione, diagnosi, giudizio.

Un counselor si mette in ascolto e accoglie, osservandolo senza giudizio, quanto il proprio cliente racconta; esplora, con lui, cosa il tutto comporti e possa comportare sul piano dei suoi sentimenti e di quelli delle persone coinvolte, come questo si colleghi ai pensieri, alle credenze e ai comportamenti del proprio cliente e di chi partecipa agli accadimenti in gioco, come questo si faccia, in lui, esperienza e cosa questa comporti, per le sue condizioni personali di malessere/benessere.

Tutto ciò per scoprire gli eventuali bisogni di cambiamento, che il cliente stesso vive e, quindi, con lui indagare e scoprire come poter soddisfare tali bisogni.

  1. Ci servirà ricordare che chi fa counseling non aiuta i propri clienti ad adattarsi e/o identificarsi a modelli di genere, comportamentali, psicologici precostituiti, chi fa counseling aiuta i propri clienti a riconoscere nel modo più chiaro possibile cosa stia loro accadendo, in che modo loro stessi vi partecipino, in che modo vi si possono rapportare per migliorarne gli effetti nella loro esistenza.
  2. Ci servirà ricordare che scopo di base del Counseling è la promozione del benessere; la tal cosa si declina, anche, nella capacità dei Counselor di aiutare i propri clienti ad individuare e a mettere in atto buoni modi per riconoscere e rimuovere tutto ciò che impedisce loro di star bene. Se, a livello socioculturale esistono degli aspetti e delle dinamiche che svantaggiano e penalizzano determinati “target sociali” (e l’essere donna è senz’altro uno di questi), è indispensabile per un Counselor averne conoscenza, per meglio aiutare i propri clienti, appartenenti a tali target, a riconoscerne le ricadute e  gli effetti nelle loro esistenze personali, nei vari ambiti, privati e pubblici, in cui questi avvengono, aiutandoli così a corrispondervi nei migliori modi per loro possibili.
  3. Ci servirà sapere che quando personaggi come Raffaele Morelli (psichiatra e psicoterapeuta, direttore della rivista di divulgazioni psicologiche di maggior successo in Italia) fanno discorsi astratti e generali sull’essere maschio o femmina, sul femminile/maschile come principio ontologico, naturale, che inscrive, preordinatamente, le forme non solo dell’essere maschio o femmina, pure quelle dell’esistere e del comportarsi come maschi o come femmine, ciò che ne deriva é la giustificazione di uno status quo politico-sociale e culturale che penalizza fortemente le donne.
  4. Ci servirà ricordare che Maschio e Femmina sono due strutture fisiologiche, il cui funzionamento, nella loro interazione, serve a garantire la conservazione della specie e il suo sviluppo; tutto il resto, variamente definito nei termini di femminile e maschile, è sovrastruttura culturalmente determinata, funzionale all’organizzazione sociale, ovvero al mantenimento o al cambiamento di specifici interessi sociali, di potere (per capire questo, non servono studi di carattere psicologico, è molto più utile un sapere di tipo storico-sociale e antropologico).

Non considerare questo e fare, ad esempio, come fanno quegli psicologi e quegli psicoanalisti, che si riferiscono a principi innati, specifici e caratteristici dell’essere femminile, piuttosto che maschile, vuol dire, nel “qui e ora” e nello  “status quo” di questa nostra società maschilista,  contribuire all’oppressione del genere femminile.

  1. Ci servirà sapere che, vivendo ancora tutti noi in una società maschilista, ogni qual volta parleremo di “polarità” maschile/femminile, “energia” maschile/femminile, “parti” maschili/femminili che albergano nei corpi, nelle anime, negli spiriti, nei sentimenti dell’intero genere umano, sia negli uomini, sia nelle donne, daremo (seppur non intenzionalmente) forza alle attuali stratificazioni di genere sociale, penalizzanti la condizione femminile.
  2. Ci servirà sapere che, più che “parti” maschili e femminili, ci sono uomini e donne con propensioni diverse alla valorizzazione delle proprie potenzialità umane; quanto più queste propensioni saranno integrate in ciascun membro di questa nostra umanità e agite alla bisogna, di volta in volta, da ciascuno, indipendentemente dall’essere uomo o donna, tanto più vivremo una vita migliore, in un mondo migliore.
  3. Ci servirà sapere che un counselor considera l’uomo nel “qui e ora” della sua esistenza, vista come crocevia di molteplici istanze, interne ed esterne; a tali istanze noi counselor rivolgiamo l’attenzione, aiutando i nostri clienti, a indagarle ed esplorarle, per svilupparne la coscienza e la conoscenza.
  4. Ci servirà sapere che, per noi counselor, la vita delle persone non sarà mai vista come un modello che, per funzionare bene, si deve adeguare a qualche forma archetipica, mitologica, inconscia, precostituita: per noi counselor, una persona sta bene quando il modo in cui integra quello che pensa, quello che fa e quello che sente, soddisfa i suoi bisogni, nei contesti socio-culturali in cui vive e, se questo non dovesse accadere (fosse anche per il suo vivere in un ambiente ostile), sa porvi rimedio, anche ricorrendo al conflitto.
  5. Ci servirà sapere dell’inconsistenza, e della perniciosità, di certe visioni dell’esistenza; quelle che non valorizzano la possibilità, assolutamente naturale, del cambiamento, come risposta della crescita e della maturazione individuale, una crescita e maturazione che  conduce all’auto riconoscimento del nostro valore, della nostra forza, della nostra bellezza, delle nostre possibilità di vivere bene. Quella crescita e quella maturazione personale che può portarci a cercare, e a trovare, chi sa apprezzarci e riconoscerci socialmente, aumentando così le nostre chance di benessere.
  6. Ci servirà sapere che questo è il punto di vista di un counselor, un professionista che esercita una professione che fa fatica ad affermarsi, anche per l’ostracismo, organizzato, di molti psicologi.
  7. Ci servirà sapere che, noi counselor, aiutiamo i nostri clienti nell’impresa di trovare i miglioramenti possibili della loro esistenza, che loro stessi possono mettere in atto, secondo la loro scala di valori morali (purché non contrastino il principio etico di salvaguardare il bene comune) e secondo i loro sentimenti.
  8. Ci servirà sapere che la possibilità:
    1. Che le donne, essendo geneticamente programmate a diventare mamme, siano per natura più docili (meno aggressive degli uomini), portate ad attività sociali più tranquille e coinvolgenti sotto il profilo emotivo e comunicativo;
    2. Che gli uomini, sempre per programmazione genetica siano portati, più delle donne, all’uso della forza, all’esercizio del potere e dell’autorità;
    3. Che le donne per corrispondenze cerebrali e ormonali abbiano più sviluppati i sensi che presiedono alla cura, all’affettività, alla relazione sociale ed abbiano maggiori doti, analogiche, di intuito e di sensibilità emotiva/empatica;
    4. Che gli uomini per corrispondenze cerebrali/ormonali sviluppino maggiori capacità di analisi logica, di calcolo politico-strategico e siano più portati all’esplorazione;
    5. Che le donne, per il loro essere costrette alla ciclicità mestruale, con i correlati ciclici subbugli ormonali, siano più umorali ed emotivamente instabili degli uomini;
    6. Che le donne, rispetto agli uomini, abbiano un collegamento più intimo con la natura, della quale impersonano le funzioni materne;

sono aspetti che assumono rilievo diverso, nell’esistenza dei singoli individui, in dipendenza sia delle forme di organizzazione politico/sociale/mentale in cui quella stessa esistenza è inserita, sia, e soprattutto, in dipendenza delle particolari risposte che a quella stessa esistenza i singoli individui danno; per questa ragione noi counselor abbiamo il compito etico/professionale di partecipare, con parole, pensieri ed opere, alla vita pubblica, con l’intento di promuovere quei cambiamenti necessari al miglioramento della vita delle singole persone.

  1. Ci servirà sapere che il Counseling è un’attività che fa leva sulla creatività e sull’innovazione.
  2. A Tutti servirà sapere che, per il proprio essere pratica di cambiamento, che ricerca nuovi modi di pensare e di agire, in grado di migliorare l’esistente, il Counseling ha in sé i germi della rivoluzione.

[1] Con il termine “cultura” intendiamo il complesso sistema di elementi, e di dinamiche, che compongono le forme di vita umana organizzata, in ogni circostanza storicamente e geograficamente data, con particolare riferimento:

  • Sia alla dimensione istituzionale dell’organizzazione politico-sociale, sia a quella informale delle relazioni interpersonali.
  • Sia al piano delle abitudini e dei comportamenti personali, sia a quello della mentalità, delle ideologie e delle credenze magiche/religiose/scientifiche.
  • Sia al modo di vivere ed esternare i propri sentimenti, sia a quello di ragionare.

Insomma, con il termine “cultura”, ci riferiamo a ogni risvolto pubblico e privato, spirituale e pratico, riguardante lo stare in vita dell’uomo e le sue declinazioni.

[2] Dai cicli lunari a quelli stagionali, dal ciclico ripetersi del sorgere del sole, del suo crescere nel cielo e tramontare, fino a tutti i cicli che, in natura, riguardano i processi vitali di nascita, sviluppo, morte e rinascita.

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