Storie di vita, di counselor e di psicologi.
Storie di vita, di counselor e di psicologi.
Qualche giorno fa, ho scritto su facebook, ad un’amica di mia figlia, una giovane psicologa, che pensa “peste e corna” di noi counselor.
Le ho scritto per presentarle il mio libro (“L’esistenza e le sue crisi. Storie di vita e di counseling”), ed offrirle così una possibilità per aprirsi ad una più sana visione di cosa possa essere, realmente, il Counseling fatto da un counselor.
Nel rivolgermi a lei, e per motivarla a leggerlo, le ho anticipato che con questo mio libro ho voluto, in particolare, rappresentare e rendere evidente l’idea di ascolto che abbiamo noi counselor:
“quell’attenzione ‘propriocettiva’ che si traduce nel saper stare in una relazione rendendosi conto di cosa si stia provando, come questo stia accadendo e come il tutto sia collegato a quanto sta succedendo all’altro”.
Lei così mi ha risposto:
“Grazie per il suggerimento, lo leggerò. Ma quel tipo di ascolto e di relazione di cui ha parlato sembra proprio il tipo di relazione terapeutica e di ascolto attivo propri dello psicologo. Quel sentire cosa si sta provando, cosa prova l’altro e cosa sta accadendo altro non sono che transfert e controtransfert.”
Ora, quanto la risposta di questa giovane psicologa sia frutto di dinamiche formative fondate esclusivamente su un indottrinamento teorico, che sicuramente non le ha mai permesso di fare alcuna esperienza pratica né dell’ascolto di cui parlo io, né del transfert e del controtransfert di cui parla lei, è cosa che chi ha avuto possibilità di far esperienza personale di ascolto propriocettivo, di transfert e controtransfert, può benissimo intendere.
In altre parole, chi ha esperienza personale di ciò di cui qui si sta parlando (ascolto propriocettivo, transfert, controtransfert), si rende perfettamente conto di quanto la nostra giovane psicologa non sappia, concretamente, di cosa stia parlando.
Non lo sa, perché non ne ha mai fatto esperienza; non sa cosa sia, come funzioni, cosa sia in grado di produrre l’ascolto al quale io mi riferisco.
Ne sa talmente poco da confonderlo col “transfert e controtransfert”, che ha studiato all’università, ma di cui, anche in questo caso non ha mai sperimentato nulla; il tutto testimoniato dal suo confondere le cose.
Bene (anzi, male!), sono questi gli psicologi che accusano noi counselor di essere dei cialtroni.
Sì! Sono loro, aizzati dai loro rappresentanti istituzionali, quei “soloni” a capo dei loro ordinamenti professionali, che non avendo risposte intelligenti da presentare, alle difficoltà di affermazione professionale di stuoli di psicologi disoccupati, si inventano un nemico da dare in pasto ai propri associati, per distrarli dalle loro vere problematiche e dal loro legittimo diritto di chiedere risposte concrete (che non si esauriscano nel chiedere loro di continuare a pagare impegnative tasse di iscrizione ai loro ordini, sicuramente necessarie per i lauti compensi di chi li dirige, molto meno per trovare soluzioni realmente in grado di sostenere l’affermazione professionale di chi quelle tasse di iscrizione paga).
Cosa possiamo fare noi counselor per difenderci dalle ignominiose aggressioni che subiamo?
Cosa possiamo fare per farci riconoscere il valore professionale di cui siamo portatori?
Abbiamo bisogno di maggiore consapevolezza del nostro valore.
Abbiamo bisogno di una più “chiara visione” della nostra specificità.
Abbiamo bisogno di politiche di “Comunicazione e Marketing” più efficaci.
La soddisfazione di questi nostri bisogni, secondo la mia esperienza (di studi e di lavoro), non può prescindere dalla nostra capacità di individuare i pochissimi, ma più che significativi, elementi distintivi e specifici della nostra identità professionale, per utilizzarli, nel modo più semplice possibile (e proprio per questo efficace), con comunicazioni orientate a renderli il più possibile pubblici e riconosciuti.
Quali sono gli elementi distintivi della nostra identità professionale?
- La particolarità della nostra formazione, vale a dire la dimensione esperienziale della stessa (è su questo piano che possiamo “competere” con altre esperienze formative ed è su questo piano che possiamo dimostrare la nostra specificità ed il nostro maggior valore);
- Gli elementi su cui fondiamo e articoliamo le nostre relazioni di Counseling:
– particolare capacità d’accoglienza;
– osservazione non giudicante;
– particolare Ascolto attivo, empatico, non giudicante;
– particolare Condivisione di ciò che si è osservato e ascoltato, senza giudicare.
E agli psicologi che dovessero obiettare che queste sono “semplici” competenze relazionali tipiche del proprio lavoro, noi potremmo opporre il dato di realtà che noi queste “semplici” competenze relazionali le abbiamo messe al centro della nostra formazione, valorizzandole al punto da renderci capaci di produrre risultati a loro inimmaginabili, proprio perché per loro non sono mai state il “focus” più importante della propria formazione.
- L’essere assolutamente estranea ad ogni mira di tipo sanitario.
- L’essere una tipologia di intervento relazionale volto a stimolare i naturali processi di crescita delle persone, migliorandone gli stati di consapevolezza, riguardanti le loro possibilità/capacità di intervenire positivamente nella gestione delle proprie difficoltà del vivere, nelle quali si stanno dibattendo.
Chi si rivolge al Counseling, lo fa perché sta vivendo una qualche difficoltà esistenziale alla quale non riesce a far fronte con i soli propri mezzi, personali-sociali.
In queste condizioni, la relazione di Counseling si offre come un’esperienza di scoperta e apprendimento di nuove e più funzionali possibilità di gestione/risoluzione delle proprie difficoltà, quelle stesse che prima sembravano insormontabili.
Il Counseling è una relazione che rianima, valorizzandone le funzioni, le integrazioni dei tre registri della nostra esistenza:
– il sentire
– il pensare
– l’agire
La relazione di Counseling produce valore perché è una relazione vera, in cui il counselor dà valore e fa leva su quanto sente, pensa e fa, e su come il proprio sentire, pensare ed agire interagisca con quello del cliente, aiutandolo a corrispondervi in ugual modo.
Con il mio libro (“L’esistenza e le sue crisi. Storie di vita e di counseling”) ho voluto produrre un’opera in grado di testimoniare il valore del Counseling, fatto da un counselor.
L’ho voluto fare per dare un contributo importante alla soddisfazione del bisogno generale di rendere pubblica e promuovere l’utilità sociale del Counseling ed il valore di un’intera categoria professionale, quella di Noi Counselor.
Per questo ti chiedo di acquistare, leggere e promuovere questo mio libro.
Ti piacerà leggerlo. Farà bene a Te e a chi lo leggerà grazie a Te.
Grazie.
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