Yogging: una parola nuova per parlare di Counseling
Yogging: una parola nuova per parlare di Counseling.
La sua introduzione in 10 punti:
1) Il Counseling nasce negli Stati Uniti d’America, ai primi del ‘900, ad opera di alcuni insegnanti di scuola media superiore che propongono, ai propri allievi, un servizio aggiuntivo/formativo di orientamento/motivazione, utile per agevolare la carriera scolastica, per meglio affrontare il mondo del lavoro e la vita intera.
Per svolgere tale “servizio aggiuntivo”, questi primi “insegnanti-counselor” fanno ricorso a pratiche e competenze di tipo squisitamente filosofico-pedagogico, fanno leva sulle proprie “qualità umane” di leadership, di empatia, di comunicazione efficace, di motivazione, fanno leva su di un’etica fondata sulla “valorizzazione delle potenzialità umane” e sull’autonomia delle scelte personali.
Ben presto e per la sua efficacia, dall’ambito scolastico, il Counseling si espande nei più svariati contesti sociali in cui gli individui necessitino di sostegno, per meglio affrontare situazioni problematiche della propria esistenza (professionale, pubblica, privata)
2) Intorno agli anni 1940, il Counseling cortocircuita con la Psicoterapia: in America, alcuni Psicoterapeuti di scuola umanistica, valorizzano nella propria prassi psicoterapeutica il fare counseling, ne fanno proprio l’utilizzo, lo sviluppano, ricorrendo al termine “counseling” per denominare alcuni aspetti relazionali della propria attività professionale.
Da questo cortocircuito, Counseling e Psicoterapia si sviluppano come specializzazioni professionali che si integrano, si intersecano, colludono e, a volte, collidono, ma in tutto il mondo rimangono comunque professioni separate e distinte.
3) In Italia, tali sviluppi prendono la “piaga” della guerra mossa contro noi counselor da una parte importante delle rappresentanze politiche degli psicologi, che reclamano il counseling come attività di loro esclusiva competenza, da vietare per legge a chi non sia, innanzitutto, psicologo.
Tali psicologi affermano che il counseling altro non sia che una declinazione della loro professionalità; a supporto di tale visione troviamo due fatti: 1) il Counseling in Italia è stato introdotto ed insegnato da psicoterapeuti; 2) la gran parte delle scuole di counseling, in Italia, poggiano le proprie basi epistemologiche nei presupposti teorico-metodologici di specifiche scuole di psicoterapia.
4) Ma il Counseling nasce come attività specifica, distinta dalla psicoterapia; il fatto che il mondo della psicoterapia lo integri e lo sviluppi nelle proprie prassi non può essere ragione sufficiente per impedire a chi non sia psicologo di continuare ad utilizzarlo in ambiti diversi da quelli strettamente psicoterapeutici.
Del fatto che la psicoterapia ne sviluppi e affini la metodologia non potremmo che essere tutti contenti, se tutti ne potessimo beneficiare delle applicazioni, ciascuno nei propri contesti professionali (come normalmente avviene in tutti quei contesti professionali in cui si utilizzano “altri saperi”, quando il loro utilizzo rende più efficace la propria pratica professionale; esempio: un pubblicitario, nel progettare i propri messaggi pubblicitari usa “saperi” provenienti da svariate altre professionalità, come quelle del Semiologo, dello Storico, del Filosofo, dello Psicologo, del Pedagogo, del Letterato, del Poeta ecc. ecc. ; ce l’immaginiamo una congregazione di Semiologi che rivendicano l’esclusivo diritto giuridico di occuparsi di pubblicità?!)
Il fatto è che lo sviluppo storico-sociale-culturale, generale/mondiale, del Counseling ha prodotto una varietà di modelli di Counseling possibili, variamente applicabili in contesti sociali vari; questo è accaduto, e continuerà ad accadere, perché il Counseling è una relazione d’aiuto applicabile in ogni contesto dell’esistenza umana, non solo in quelli medico-sanitari (ed il bisogno d’aiuto, in ogni circostanza di vita che comporti difficoltà di gestione, è una caratteristica fondamentale dell’uomo, in ogni suo contesto socio-geografico storicamente determinatosi!)
5) Il Counseling è una relazione d’aiuto che può differenziarsi per situazioni in cui viene applicato, per modelli, tecniche ed influenze culturali, ma non per i principi filosofico-culturali che lo costituiscono:
- La centralità della persona
- L’accoglienza
- L’ascolto
- L’accompagnamento
- Il lavoro sulle potenzialità
- La non direttività
Il Counseling è una relazione d’aiuto che può differenziarsi per modelli, tecniche ed influenze culturali, ma non per le qualità umane e per le competenze relazionali di chi lo esercita:
- Empatia
- Consapevolezza ed intelligenza emotiva
- Comunicazione efficace, gentile e non violenta
- Leadership
Quale persona di buon senso potrebbe dichiarare che i principi, le qualità umane e le competenze relazionali qui sopra elencate possano essere un “dominio” esclusivo di chi si occupa specificatamente di psicologia?!
Ciò che conta è che chi fa Counseling lo faccia con perizia e cognizione di causa, senza millantare/utilizzare competenze che non possiede, nel rispetto dei soggetti a cui viene offerto e dei loro bisogni.
A chi fa Counseling compete la responsabilità di inquadrare il proprio modello di Counseling, le sue applicazioni ed il suo modo di funzionare efficacemente nei contesti in cui viene applicato, rendendo il tutto adeguatamente esplicito e chiaro.
6) Il Counseling altro non è che una relazione d’aiuto professionale fondata sulle capacità ed abilità personali, di chi lo esercita, di accompagnare i propri clienti in un percorso di sviluppo di consapevolezza tale da metterli in condizione di meglio affrontare, autonomamente, le difficoltà che stanno vivendo e rispetto alle quali chiedono aiuto.
Se esistesse un Counseling Psicologico, con caratteristiche di funzionamento che solo uno psicologo può essere in grado di utilizzare, quale sarebbe il problema?!
Gli psicologi con questa specializzazione di Counseling Psicologico potrebbero esercitarlo, rendendo chiaro in che modo si differenzia dagli altri tipi di Counseling o, meglio ancora, specificando i contesti in cui solo loro possono applicarlo e perché, specificando le competenze/abilità loro esclusive che impediscono ad altri di esercitarlo.
7) In un panorama generale che vede una varietà di modelli di Counseling, che spaziano da orizzonti filosofico-pedagogici a quelli, effettivamente, più marcatamente psicologici, passando attraverso contaminazioni bio-energetiche, artistiche, di “mindfulness” e di spiritualità varie, variamente collegate alle pratiche buddiste e alle filosofie meditative orientali, che senso può avere rivendicare l’esclusiva assoluta dell’utilizzo del Counseling?!
Ribadisco, se esistesse un Counseling Psicologico che possono fare solo gli psicologi, solo a loro competerebbe di definirlo esplicitamente, in modo da renderne chiari i confini e ciò che lo differenzia e lo rende una specifica attività non alla portata di altri professionisti.
Qui, semplicemente, sostengo:
- l’ovvietà che possano esistere tipi di Counseling diversi da quello psicologico (ammesso e non concesso che possa esistere un Counseling solo psicologico!!!).
- l’ovvietà che, oltre all’intervento psicologico-psicoterapeutico, di counseling o meno, possano esistere altre possibilità di aiutare chi si trova in difficoltà; soprattutto quando parliamo di difficoltà che riguardano la vita di tutti gli esseri umani; difficoltà quali, ad esempio, la perdita del lavoro, una crisi coniugale, il non riuscire a superare un esame universitario, la perdita di un amico, ecc. ecc. ecc.
- l’ovvietà che un qualsiasi intervento relazionale d’aiuto abbia correlati di natura psicologica (come ogni relazione interpersonale), ma non per questo solo agli psicologi possa essere demandata la gestione di ogni tipologia di intervento d’aiuto (altrimenti per tutte le professioni d’aiuto saremmo obbligati ad avere una laurea in Psicologia! Avremmo così l’infermiere-psicologo, il maestro-psicologo, il badante-psicologo, l’assistente sociale-psicologo, ecc. ecc. ecc. in un mondo di pazzi!)
- l’ovvietà che, in uno stato democratico, civile e liberale, se chi vuol fare Counseling si impegna a farlo senza la finalità di curare una qualsivoglia forma di malattia, ma solo in chiave d’aiuto a meglio affrontare problematiche esistenziali varie, si possa riconoscere il Counseling come una relazione d’aiuto professionale, non obbligatoriamente inquadrabile tra le attività sanitarie; lo si possa riconoscere come un’attività professionale rivolta a chi si ritrova in una qualsivoglia difficoltà esistenziale, che può essere esercitata sulla base di ispirazioni e metodologie diverse, purché lecite, giudicabili essenzialmente per la loro efficacia e per il gradimento di chi ne usufruisce.
- L’ovvietà di richiedere, “semplicemente”, a chi vuol fare Counseling, di acquisirne la capacità, seguendo percorsi formativi funzionalmente ed adeguatamente organizzati a tal fine.
- L’ovvietà di richiedere a chi fa Counseling di avere chiari i propri ambiti di intervento; cosa li caratterizza; cosa e come fare per ottenere risultati soddisfacenti, innanzitutto per chi chiede aiuto.
8) L’introduzione del neologismo “Yogging” rappresenta l’opportunità di parlare di Counseling in un modo nuovo, più efficace e più centrato sugli aspetti più caratterizzanti la “sostanza” del Counseling; un modo che potrebbe aiutarci a definire e ad inquadrare il Counseling, rispondendo in modo semplice, efficace, immediato ed inequivocabile a domande quali: cos’è il Counseling? Cosa lo caratterizza? Cosa lo rende specifico? Un modo che lo differenzierebbe insindacabilmente da altre tipologie di intervento d’aiuto.
Chi fa Counseling professionalmente sa che il denominatore comune della soggettività dei propri clienti è quello di un’immancabile mancata integrazione funzionale dei contenuti del proprio “Sentire” (emozioni, sentimenti, sensazioni), del proprio “Pensare” (giudizi, immaginazioni, analisi, progettazioni, convinzioni, norme e valori culturali, ecc.) e del proprio “Agire” (comportamenti e atteggiamenti comportamentali).
In altre parole, chi si rivolge al Counseling, rispetto alle problematiche che sta vivendo:
- fa fatica a riconoscere le proprie emozioni e i propri sentimenti o, se li riconosce, non sa come gestirli;
- non si rende conto di come le proprie emozioni/sentimenti interagiscano con i propri pensieri e comportamenti, e viceversa;
- se immagina che ci sia qualcosa da fare per risolvere i propri problemi, non ritiene possibile il poterlo fare.
Tra il più e il meno, chi si rivolge al Counseling, si ritrova, cioè, in una di quelle 1000 situazioni in cui, se, ad esempio, potesse chiedere aiuto alla buon’anima di Socrate (un accidente di filosofo vissuto molto più di due millenni prima che qualcuno si inventasse una “scienza” come la Psicologia!), Socrate gli direbbe qualcosa tipo: “la risposta al tuo bisogno d’aiuto è dentro di Te, basta andarla a cercare, stanarla e farla uscire; io posso aiutarti a farlo”.
Bene, noi sappiamo che, per “stanare e fare uscire questa risposta”, possiamo agire in tanti modi diversi; uno è quello del fare Counseling, seppur con diversi modelli di Counseling.
Seppur con “filosofie” ed estrazioni culturali diversificate, avendo il Counseling, come presupposto fondamentale di funzionamento, il miglior sviluppo di consapevolezza possibile di chi gli si rivolge chiedendo aiuto, ed essendo la qualità di ogni consapevolezza personale la risultante di un’adeguata e funzionale integrazione del proprio “Sentire”, “Pensare” ed “Agire”, ciò che caratterizza ogni intervento di Counseling è l’agire del Counselor in funzione della migliore integrazione possibile di ciò che “pensa”, ciò che “sente”, ciò che “fa” il proprio cliente, relativamente alla gestione dei problemi rispetto ai quali sta chiedendo aiuto.
L’insieme di “pratiche” alle quali un counselor ricorre per ottenere l’integrazione del “Sentire”, del “Pensare” e dell’ “Agire dei propri clienti lo possiamo chiamare Yogging.
I perché di questa denominazione saranno trattati dettagliatamente in un apposito libro, che sto scrivendo, ma la base su cui poggiano viene anticipata nel seguente punto.
9) Se noi counselor, nel nostro legittimo volerci affermare, invece di confluire con gli psicologi, utilizzando i loro armamentari di episteme, di significanti e di significati, di protocolli e procedure, ripartissimo dai valori e dalle pratiche originarie del Counseling, valorizzando le influenze filosofico-orientali che lo hanno storicamente arricchito; se utilizzassimo parole più consone alla nostra identità per rappresentarci e per raccontarci; se ci aprissimo alla divulgazione delle particolari radici e contaminazioni che ci sostengono e valorizzano; se preferissimo la semplicità di rivendicare il nostro avere una professionalità fondata su attitudini personali e su “pratiche” messe a punto ed affinate in forza di uno specifico percorso formativo di tipo pratico-esperienziale ed in forza di un approfondito lavoro di conoscenza di noi stessi e di ripulitura delle nostre dinamiche nevrotiche; se la smettessimo di pensare che solo poggiando la nostra rappresentazione su basi scientifiche potremo affrancarci dalla guerra che gli psicologi ci fanno; forse allora potremo più facilmente essere riconosciuti (dal mercato dei potenziali clienti) e potremo più facilmente togliere senso all’ostilità di chi, tra gli psicologi, vorrebbe che noi counselor, semplicemente, non esistessimo.
Se accettassimo di chiamare “Yogging” l’insieme di “pratiche” alle quali noi counselor ricorriamo per ottenere l’integrazione del “Sentire”, del “Pensare” e dell’ “Agire dei nostri clienti e, ancor più, se allo “Yogging” ci riferissimo, principalmente, per identificare la specificità dei nostri percorsi formativi, potremmo chiamare il “nostro” Counseling: “Counseling Yoggico”, differenziandolo inequivocabilmente da quello psicologico (anche se gli psicologi ancora non hanno definito cos’è e come si fa il loro Counseling).
A noi non resterebbe che definire e presentare l’insieme di pratiche che costituiscono lo “Yogging” e ancorare a tale sistema la nostra definizione di Counseling, che diventerebbe definizione del “Counseling Yoggico”.
Nel libro che sto scrivendo, saranno presentate le “pratiche” che costituiscono lo “Yogging”.
La prima definizione del Counseling Yoggico, invece, viene riportata nel punto che segue.
10) Il Counseling Yoggico è una relazione d’aiuto professionale praticata, principalmente, in forza di uno specifico, e particolare, modo di stare con se stessi, in relazione con gli altri, gestendone opportunamente le dinamiche relazionali, in particolare quelle di comunicazione; il tutto finalizzato a produrre, nell’altro, sviluppi di consapevolezza tali da migliorare significativamente le sue capacità/possibilità di affrontare le situazioni problematiche che sta vivendo.
Se noi counselor centrassimo la nostra valorizzazione sull’esplicitare sempre meglio la nostra unicità e diversità fondata su:
- “lo specifico e particolare modo di stare con noi stessi, in relazione con gli altri”, quando facciamo counseling (vale a dire il nostro “Fare Yogging”);
- “il nostro modo di gestire le dinamiche relazionali”, quando facciamo counseling yoggico;
- “le modalità comunicative del counseling yoggico”;
- “gli sviluppi di consapevolezza che produciamo”
- “le situazioni problematiche” con le quali lavoriamo
- “la particolarità di avere una specifica formazione pratica-esperienziale”
Allora, più facilmente potremo affermarci e svilupparci come counselor.
Per fare questo abbiamo bisogno di parole-significanti ad hoc; parole che ancora non esistono, perché le parole-significanti non vengono mai prima di ciò che significano; e ciò che abbiamo bisogno di “significare” è ciò che è diventato oggi il Counseling, in Italia, in una sua specifica, evoluta e nuova veste; una “veste” nuova, che proprio per questo può essere presentata come novità, qualcosa di diverso da ciò da cui proviene, che per rappresentarsi, ovviamente, utilizza parole nuove, la prima e più importante è: “Yogging”.
Se vuoi avere un’esperienza diretta di “Counseling Yoggico” e/o sei interessato ad un percorso di formazione IN Counseling Yoggico.
Direttore didattico Scuola IN Counseling Lo Specchio Magico Torino.
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