Tesi di Diploma di Edoardo Chianura
Tesi di Diploma IN Counseling !!!
ANNO 2015 Tutor : Domenico Nigro
Ciao a tutti/e,
siamo felici di presentare la nostra prima tesi di diploma IN Counseling.
Ringraziamo l’autore Edoardo Chianura, il primo nostro allievo a tagliare il traguardo della nostra formazione IN Counseling.
Noi Trainer della scuola IN Counseling di Torino abbiamo la certezza che il viaggio di Edoardo non terminerà con la discussione della sua tesi, proseguirà in nuove tappe, che saremo onorati di poter condividere, nei modi di volta in volta possibili.
Se desiderate scaricare il testo completo della tesi di Edoardo clikkate qui: Tesi finale con allegati
Riflessione sul percorso formativo di Edoardo, dall’introduzione alla sua tesi di diploma, a cura di Edoardo stesso :
Eccomi davanti al foglio bianco per iniziare quello che sarà il mio ultimo atto per conseguire il mio diploma di Counselor e così poter intraprendere questa nuova avventura professionale da me tanto cercata e voluta in questo periodo della mia vita.
Mi ascolto è mi accorgo che sono eccitato e nello stesso momento confuso: da dove inizio, come inizio, cosa ho voglia di scrivere, come imposterò questo mio lavoro, ecc.. E’ l’inizio! L’inizio di un processo, di un bisogno che riconosco, la voglia di diventare counselor e iniziare a fare counseling. E quindi il momento di “aggredire”, di cercare, di trovare, di “mordere e masticare la propria [mia] esperienza al fine di assimilare le parti di essa di cui si ha [ho] bisogno”, cioè tutto ciò che potrà essermi d’aiuto per soddisfare il mio bisogno: la compilazione di questa stessa tesi, “e liberarsi [liberarmi] di quelle che non servono” (Perls, Hefferline, Goodman, 1997).
L’avventura per diventare counselor nasce anni fa, in un momento di empasse professionale. Un momento molto frustrante e stressante. Ero come davanti ad un muro che provavo a sfondare, ma inutilmente. Lo stesso mio fisico ne pativa.
E’ stato quello il momento che mi sono fermato e ho iniziato a guardarmi in giro e a ripensare ai miei trascorsi professionali. Tutto ciò che avevo intrapreso negli anni passati, i miei lavori, le mie capacità e soprattutto i miei desideri: cosa volevo fare?
E’ stato così che parlando con amici e navigando in internet ho trovato la scuola di INCounseling dello “Specchio Magico” diretta da Domenico Nigro, al quale mi sono immediatamente rivolto per un colloquio, un lungo colloquio che è stato l’avvio di un percorso, “un immergersi in questa nuova esperienza attraverso la lettura dei cosiddetti testi sacri della Gestalt, attraverso le esperienze in gruppo durante la Formazione “X”, attraverso gli Esperimenti di Comunicazione Interpersonale alla biblioteca di Moncalieri e quelli sulla genitorialità, nonché attraverso tutti i momenti di scuola vera e propria, nei gruppi di studio.
Un immergersi in esperienze che mi [hanno coinvolto] momento dopo momento, scoprendo un modo di stare con me stesso e con gli altri che finora percepivo in superficie, che mai avevo avuto la forza di realizzare e che ora riverso, in particolare, in due aspetti fondamentali della mia vita: il voler essere counselor e l’essere persona.”
Un percorso che non si concluderà con questo diploma, ma anzi che da qui sarà viatico per una ulteriore crescita e sviluppo sia personale e professionale, sia di crescita di comunità.
Ma ci è voluto comunque ancora un po’ di tempo prima che prendessi la mia decisione e iniziassi la scuola. Un tempo lungo fatti di primi accenni, primi passi prima di lanciarmi con passione nell’esperienza di crescita e di sviluppo delle mie qualità umane e professionali.
Un percorso fatto di momenti eccezionali, colmi di eccitazione e gioia; momenti dolorosi, di messa in discussione, di riconoscimento di parti di me non sempre piacevoli; momenti di comunione e comunità con il gruppo scuola, di curiosità, di affetto, di confronto; momenti di ricchezza di strumenti e modi di stare nella relazione; e tanto altro ancora che fanno di me quello che oggi sono!
In questo periodo di scuola e nel mio tirocinio è stato molto interessante ripensare e riprendere molte mie competenze personali che nel tempo avevo come seppellito: le attività corporee (la danza, il teatro, l’espressione corporea) e musicali, il lavoro di educatore a 360° nelle comunità per minori, nei centri per anziani, con i ragazzi in situazione di difficoltà (dall’handicap al bullismo), il mio continuare a stare in contesti educativi con dedizione e in vista sempre di un miglior modo di stare, di comprendere, di sostenere. E’ stato in qualche modo un rinascere mettendo insieme il tutto attraverso un catalizzatore comune: l’approccio gestaltico. Approccio che, attraverso la capacità di “accrescere la consapevolezza individuale dei sentimenti soffocati e delle sensazioni attutite, di risvegliare nella persona la conoscenza del dar forma”, (Perls, Hefferline, Goodman, 1997) pone le basi per la “vitalità e accrescimento nella personalità umana”.
Ricordo le esperienze che tutto ciò ha costituito, dalle sensazioni fisiche come un giramento di testa …
Cos’è un giramento di testa? La mia sensazione, provata tempo fa durante una fase acuta di labirintite, è una vertigine, un senso di smarrimento, una mancanza momentanea di equilibrio. Indubbiamente una situazione spiacevole del proprio stare. Non riesco ad essere più lì, presente. E’ il mondo che mi gira vorticosamente attorno e non riesco a fermarlo? o sono io che giro il mio sguardo vorticosamente intorno mentre il tutto il resto è lì fermo?
Di sicuro non riesco a focalizzare niente e in più si aggiunge un senso di nausea che non mi permette di accogliere nulla, anzi vomiterei anche quel poco che ho “ingerito” precedentemente.
Tutto ciò è quello che provo! Ora aggiungo la fatidica domanda: “A cosa mi serve?” oppure più propriamente nel caso in cui sono in ascolto di un’altra persona, “Che cosa mi dice?”
Il primo pensiero buttato lì, stando su queste percezioni, è una sensazione di smarrimento e di perdita di equilibrio. Un’impossibilità di mettere a fuoco ciò che ho davanti, impossibilità di poter svolgere qualsiasi azione, in qualsiasi direzione. Non ho più direzione possibile. Sto fermo e chiudo gli occhi: unico modo per riuscire ad avere un minimo senso di benessere.
Per altro una impossibilità di “integrare” qualsiasi “cibo”, ma neanche riuscire a trattenere ciò che è stato ingerito in quel momento o in ogni caso non è stato ancora digerito. Solo con lo stomaco vuoto/svuotato sto meglio.
Quindi cosa ricavo da tutto ciò? Per ora due indicazioni da tenere bene in considerazione le prossime volte che mi capiterà di provare nuovamente questa sensazione di disorientamento, pulizia/vuoto/svuotamento:
1) la ricchezza di esperienza maturata attraverso la tecnica dei feed-back nei lavori di gruppo non è assolutamente paragonabile a quando sono in solitaria, (Nella condivisione con gli altri mi rendo conto con interesse delle risonanze che incontro nel resoconto di ognuno di loro che arricchisce, illumina aspetti di me che in parte rimarrebbero adombrati senza questo aiuto).
Ciò che ho scoperto ieri sera è stato il “mio piangermi addosso”, testuali parole usate da Paolo, dopo che avevo espresso il mio aggrovigliato vissuto relativo sia all’esercizio vissuto, sia ad alcuni miei momenti sperimentati nei giorni scorsi. Ammetto che quando mi ha restituito questo feed-back la sensazione immediata è stata di rifiuto, fastidio pur con la consapevolezza che stava colpendo nel centro. Infatti ci ho messo un attimo prima di ammettere che mi ritrovavo in ciò che mi stava restituendo. Soprattutto riconoscevo la mia frustrazione rispetto ad alcuni eventi di questi giorni. Una frustrazione e una rabbia di cui, pur nella consapevolezza che la situazione era quella e non permetteva, nella direzione che avevo intrapreso, alcuna possibilità di successo.
2) la fatica di stare con le mie emozioni, soprattutto quelle dolorose (Che fatica … sono stanco, anche solo riportare tutto ciò è faticoso, perché c’è emozione, riprovo le emozioni di cui scrivo. C’è la fretta, l’invidia, la frustrazione … tanta energia … e tanta tantissima voglia di amare, Si!!! di amare ecco quello che a un certo punto ho provato, ho pensato quando la tristezza e la voglia di piangere erano sparite, un desiderio di tenerezza e di bellezza … mi sembra di impazzire … che sta succedendo?
Immediatamente un’immagine, un’immagine classica: sono seduto lungo la riva di un fiume e sto guardando l’acqua che scorre … e ora sono più calmo, prima avevo quasi smesso di respirare.
Tutto è più chiaro, anche intorno a me. Respiro e chiudo! e l’ascolto, quell’ascolto ribadito sempre, declinato nelle diverse forme e soluzioni possibili, ma così difficile da comprendere finché non c’è l’illuminazione dell’esperienza composta dall’unione di quei tre livelli dell’esistenza (pensiero, sensazione/emozione e azione), anch’essi più volte ribaditi, che agendo insieme aprono nuove prospettive, nuovi modi di stare e di essere.
Diversamente dalle altre volte, è stata la prima volta che ho avuto l’occasione di partecipare a tutta una serata come “semplice” ascoltatore.
Ho ascoltato.
Ho ascoltato nell’esercizio iniziale le sensazioni intorno a me – le rondini che garrivano percorrendo il cielo e quindi allontanandosi e avvicinandosi alle nostre finestre, il fiume che più in là scorreva per confluire in altre acque, i movimenti e gli ansimi dei miei compagni percepiti sia con lo sguardo che con le orecchie, il mio respiro e l’aria che entrava e poi scorreva via dalle mie narici – , poi le sensazioni interne – il cuore che inizialmente pulsava forte, il leggero dolore sotto la scapola destra, la mia lingua che non trova mai inizialmente una posizione rilassata e i pruriti che vanno e vengono – e i pensieri -“miii, quanto sei bravo a stare nella posizione a gambe incrociate” prima seriamente e poi ironicamente e i “chiacchiericci” che andavano e venivano senza parole precisi.
E dopo l’esercizio ho ascoltato ancora. Non solo con le orecchie, non solo con la testa. Anzi alcune volte mi sono accorto che non seguivo le parole, le frasi che venivano riportate, ma ascoltavo ugualmente. Ascoltavo la mia noia, ascoltavo il clima, l’animo dei miei compagni, ma sempre con curiosità, con attenzione, con partecipazione fatta di affetto e accoglienza di ciò che ognuno portava. Ma sempre tanta, tanta curiosità.
Curiosità anche di come Paolo conduceva, di ciò che riportava, di ciò che stimolava in noi, della capacità (sempre interessante per me sia che si tratti di Paolo come in questo caso, sia delle volte in cui è Domenico a guidarci) di “vedere” altre letture, altre vie, altre possibilità rispetto a ciò che ognuno di noi sente, percepisce e pensa. Ho finalmente accettato, cosa per me molto importante, la possibilità di sbagliare, rompendo il mio prepotente introietto del “bravo bambino” che non sbaglia mai.
In quei giorni, nella mia testa, c’era un altro aspetto che mi frullava e mi frulla nella testa tutt’ora e che ora finalmente provo a mettere per iscritto: la possibilità di sbagliare. La possibilità di sbagliare intesa come possibilità di provare senza quella tensione di essere perfetto. La possibilità di sbagliare come consapevolezza che non sempre tutto viene al primo colpo.
Ma soprattutto possibilità di sbagliare senza sentirmi giudicato. E qui che casca l’asino. Un bella proiezione. Chi è che giudica sono principalmente io. Il bambino che è in me, che deve essere perfetto, che non può sbagliare, che non può deludere.
E’ stato bello ciò che Domenico ha ribadito, principalmente per ciò che riguarda la scuola e i momenti di formazione, ma pensandoci bene anche tutti gli altri momenti della mia vita.
Sapere di essere in un gruppo che sostiene ognuno di noi e che quindi negli inciampi di ciascuno è lì pronto per darmi una mano e riprendere, riprovare, ridefinire e quindi migliorare il mio, il nostro, cammino sia professionale che individuale.
E’ stata per me come una liberazione, una nuova opportunità per crescere, per provare e buttarmi nella mischia con una nuova consapevolezza.
SBAGLIO!! EMBÈ?.
Finisco con una domanda a cui tutt’ora cerco di dare una risposta esaustiva, pur accorgendomi sempre più che sarà viatico di questo mio cammino professionale: “Cosa mi serve voler diventare counselor?
In genere, tempo fa, avrei girato la mia freccia verso il fuori, verso gli altri, chiedendomi “Cosa posso fare per gli altri?”, che non penso sia una domanda sbagliata di per sé, ma indubbiamente un modo comodo per non prendere in considerazione l’aspetto più importante per me stesso e cioè cosa gratifica in me, quali bisogni soddisfa lo svolgere questa professione?
E’ una domanda che rimarrà aperta in ogni momento di riflessione che riguarderà questo [mio percorso] perché avrò bisogno di più “masticazioni adeguate” prima di riuscire ad avere una risposta soddisfacente e poi chissà, magari rimarrà sempre aperta per essere approfondita ogni volta e arricchita.”
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